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Teoria della Localizzazione Industriale: Un'analisi dei Fattori Determinanti, Study notes of Geography

La teoria della localizzazione industriale, analizzando i fattori che influenzano la scelta del luogo di produzione da parte delle imprese. Vengono esaminati i costi di trasporto, la disponibilità di manodopera, le economie di scala e l'influenza della tecnologia sulla localizzazione industriale. Una panoramica generale dei principali concetti e teorie, offrendo una base per ulteriori approfondimenti.

Typology: Study notes

2023/2024

Available from 01/15/2025

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Geografia del Made in Italy

DOGMA E PARADIGMA

Dogma e Ideologia : Sono le regole alla base della nostra esistenza. Le grandi leggi fondamentali da noi condivise, necessarie per spiegare la nostra esistenza. Alla base della società perché ci dà una serie di spiegazioni a situazioni difficilmente spiegabili. Culti differenti aprono la strada a modi di vivere differenti. L’appartenenza a un dogma è dettata dal fatto che un individuo condivide spontaneamente quelle regole. Paradigma : è un insieme di proposizioni logiche, condivise da una comunità scientifica. Un modo scientifico di procedere nel proprio ragionamento. Un paradigma si compone di una serie di teorie (in economia abbiamo i classici, i neoclassici, i marginalisti...). Rappresenta il modo di procedere nel proprio ragionamento. Teoria : un insieme di passaggi logici che permettono di giungere, partendo da una o più ipotesi (affermazioni scientifiche), all'esplicitazione di una tesi e delle sue conseguenze sul territorio. È un passaggio causa - effetto. La teoria si basa sul paradigma che l’individuo ha scelto di aderire e di conseguenza al dogma. Modello : è una rappresentazione semplificata della realtà. Non posso rappresentare una realtà complessa in tutte le sue componenti, la semplifico. È inoltre un modo per ricondurre all'interno di principi logici alcuni fatti apparentemente casuali. Strumento : è un mezzo che utilizzo per dimostrare le mie teorie e costruire i miei modelli: per la geografia economica strumenti sono ad esempio la statistica, la matematica, la cartografia, la demografia, l’economia. Lo strumento serve ad esprimere la validità di una teoria attraverso certezza condivise e dimostrate da alttri, e quindi serve a rendere veritiero ciò che si sta affermando. Gli strumenti devono essere validi all’interno di un paradigma di riferimento e sono accettati dal dogma da cui prede avvio. LIVELLI DELLA CONOSCENZA

  1. Livello elementare : è un livello descrittivo - definisco e colloco gli elementi nello spazio geografico. Ottengo una informazione di carattere puramente descrittivo
  2. Livello sintagmatico : è un livello interpretativo - studia le relazioni e i flussi tra gli elementi. Rispetto al livello elementare necessita di una o più teorie di riferimento
  3. Livello sistemico : è l'evoluzione logica del livello sintagmatico - oltre ad interpretare la realtà ne studia l'evoluzione nel tempo. Permette quindi l'elaborazione di teorie. TERRITORIO E REGIONE TERRITORIO: ciò che era presenta sul terreno; fino all’800 era importante ciò che era sotto mentre qualche decennio dopo era importante ciò che era sopra Il concetto di territorio è diventato sempre più complesso anche perché si sono sviluppati nuovi strumenti di analisi. Il territorio rappresenta un contenitore di elementi intangibili che caratterizzano una area geografica, in cui gli elementi fondamentali sono le radici storiche, le religioni, la presenza di economia forti e deboli, le origini geo-politiche. La definizione attuale di territorio afferma che esso rappresenta il risultato delle relazioni tra elementi tangibili e non tangibili che caratterizzano un’area geografica. Gli elementi intangibili diventano più importanti di quelli tangibili. Molte aziende hanno deciso nel corso del tempo di delocalizzare le imprese in paesi dell’Est Europa e della Cina per motivi di costo della manodopera, ma soprattutto sulla mancanza di leggi che tutelano l’ambiente e l’impatto ambientale che esse hanno. La Cina soprattutto oggi sta vivendo un importante sviluppo economico senza dare importanza all’impatto ambientale. Nella prima fase di delocalizzazione fu indirizzata alla Svizzera perché se si voleva costruire un impianto industriale, era necessario inviare una lettera allo Stato il quale doveva dare l’autorizzazione. In mancanza di risposta potevi aprire un impianto in 30 giorni. Regione e Regionalizzazione Lo studioso vuole studiare il territorio e divederlo in parti. Il bisogno di classificare, dividere e ordinare è qualche cosa di storicamente diffuso. Gli antichi romani conquistavano, contavano, classificavano,

termine Possibilismo. Elencandone i principi basilari: La natura non impone solo vincoli ma offre varie possibilità di occupazione del suolo e di utilizzazione delle risorse. Le comunità, pur se entro certi limiti, esercitano una scelta tra le possibili alternative. La scelta è compiuta in base alla cultura, alla tecnologia, alle circostanze storiche. Assumono estrema importanza i termini genere di vita (l’insieme dei comportamenti sociali relativi al territorio) e paesaggio. È chiaro come il singolo paesaggio varierà al mutare del comportamento, delle abitudini e delle attività economiche della popolazione che lo occupa. L’uomo diviene un fattore geografico.

  • La regione umana : La regione geografica, secondo il paradigma Possibilista è quindi un territorio plasmato da un determinato genere di vita (e quindi dall’uomo), e si esprime tramite un paesaggio (o diversi paesaggi tra loro connessi). La Regione di Vidal e Febvre è una Regione Umana (o antropizzata). Il funzionalismo (Juillard; anni ‘60 - ‘70): In questi anni si producono numerose teorie e modelli territoriali e si sviluppa in particolare la geografia regionale. Isard Studioso del MIT di Boston conia il termine Scienza Regionale, una dottrina all’interno della quale si intrecciano numerose discipline Si scinde la geografia regionale (che mantiene scopi meramente conoscitivi) dalla scienza regionale (basata su metodi e teorie, sullo studio delle relazioni presenti sul territorio). La prima continua ad avere principalmente uno scopo descrittivo, conoscitivo, la seconda si pone come obiettivo di base la pianificazione territoriale, la definizione di policy). Il territorio diviene un insieme di elementi anche eterogenei che interagiscono costantemente tra loro e con l’uomo. La regione funzionale è imperniata su un centro animatore e su reti che da questo traggono origine. Essa ci permette di comprendere la situazione di un singolo punto all’interno di una realtà territoriale complessa. L’impostazione funzionalista tende quindi a definire le relazioni tra oggetti e aree che da questi sono sottese. La realtà territoriale diventa individuabile attraverso una funzione matematica y=f(x) dove sono inseriti gli elementi tangibili e intangibili relativi ad un territorio. Principi della regione funzionale:
  1. Elemento base della regione Funzionale è la polarizzazione, ovvero il prodotto della dominazione di un insieme di elementi (tra loro interconnessi) sul territorio circostante. Rappresenta un elemento di attrazione nei confronti degli altri.
  2. Si esprime attraverso fenomeni economici (movimenti di beni e di capitali e di persone) e fenomeni sociali (rapporti tra classi, tra comunità del centro e della periferia). Si è comunque in presenza di qualche cosa in movimento (flussi di persone, beni, servizi, capitali). Il centro è la parte più forte della forza polarizzante mentre le periferie sono più deboli.
  3. Le proiezioni territoriali (concentrazioni), che possono essere di tipo puntuale (un polo industriale), assiale (un asse di sviluppo), areale (una agglomerazione urbana). Lungo l’asse c’è tutto quello che viene scambiato tra due poli. La forza polarizzante può essere l’asse stessa perché il territorio in cui passa l’asse troviamo innumerevoli flussi di persone, merci ecc. la cui percezione è vantaggiosa.
  4. L’intensificarsi delle interdipendenze tra elementi (interni e esterni alla struttura che genera la polarizzazione) al crescere del fenomeno polarizzante
  5. La Regione Funzionale coincide quindi con lo spazio investito dalla Polarizzazione : per ogni punto del territorio è applicabile la funzione. Non ci si concentra su un fenomeno ma si individuano diverse regioni attraverso diversi elementi che caratterizzano un determinato territorio. Abbiamo dunque la definizione di caratteristiche che vengono ottenute grazie alla connessione degli elementi sul territorio. Quando diversi territori danno lo stesso risultato questo indica che questi territorio sono simili tra loro, nonostante le realtà territoriali siano molto diverse. Il passaggio da concezione possibilista a concezione funzionalista è basato principalmente sull’introduzione di due nuovi concetti: Paradigma e Modello interpretativo. Il tutto richiede il massiccio ricorso alle scienze matematiche, coniando il termine Geografia Quantitativa. Si parla quindi di Regione funzionale perché la realtà regionale diviene qualche cosa di identificabile e descrivibile tramite una funzione matematica, semplice nel caso di regioni banali, molto complessa in presenza di regioni evolute. La regione termina nel luogo in cui la funzione matematica che la identifica perde valore (si parla ad esempio di regioni socio-economiche).

La REGIONE SISTEMATICA (Von Bertalanffy, 1968): rappresenta l’evoluzione, il perfezionamento del paradigma funzionale. È il prodotto dell’incontro tra geografia e teoria generale dei sistemi. Si ritiene che i rapporti tra comportamento sociale e territorio siano orientati a produrre sistemi. Il sistema può essere definito come un insieme di elementi, tangibili e intangibili, tra loro interdipendenti ed orientati. Si punta all’individuazione dell’interdipendenza tra elementi del sistema, si vogliono cercare le leggi che lo regolano. Il risultato di queste connessioni è l’aspetto importante. Il territorio viene messo a sistema per produrre un risultato, ovvero evidenziare tutti gli elementi sul territorio e organizzare, di conse3guenza tutta la filiera produttiva. Tutti gli elementi vengo messi a sistema per produrre maggiore ricchezza. Si assiste quindi al ripudio totale del paradigma deterministico. Si introduce il concetto di Processo, ovvero l’insieme di fenomeni, flussi, interazioni che si generano tra gli elementi del sistema. Nel senso che la regione, lasciata libera, seguirà una sua direzione. Il grande vantaggio della regione sistematica è quello di poter prevedere il comportamento del territorio, in quanto il territorio lancia dei messaggi e attraverso gli strumenti giusti è possibile comprendere ed interpretare questi messaggi. Si giunge in particolare a definire il Processo Orientato, in cui il sistema stesso è orientato. La regione ha una sua direzione, intuibile attraverso strumenti di analisi. Il paradigma Olistico : tra la fine degli anni ’70 e inizio anni ’80 si introduce il concetto di idea olistica nell’organizzazione del territorio. L’Olismo è una teoria biologica secondo la quale l’organismo deve essere studiato in quanto totalità organizzata e non come semplice somma di parti (è proprio ciò che avviene nello studio delle regioni). Il paradigma olistico si contrappone al paradigma Sintagmatico. Il funzionalismo aveva già inquadrato la superficie terrestre, come un insieme di elementi interdipendenti; la Teoria Generale dei Sistemi trasferisce l’attenzione dalla struttura in se al Processo che la muove verso determina i traguardi. Dal Sistema spaziale Aperto alla Regione Sostenibile : La Regione viene studiata come un Sistema Spaziale Aperto. Il Sistema Spaziale Aperto è un insieme di elementi umani, fisici e immateriali interconnessi e mossi da uno stesso processo, aperto alle relazioni esterne, e in grado di opporsi a comportamenti degradativi. I termini fondamentali sono quindi: 1) struttura,

  1. processo, 3) apertura all’esterno, 4) relazione tra elementi, 5) opposizione all’entropia. La REGIONE SOSTENIBILE, rappresenta un percorso di crescita di un territorio sostenibile sotto diversi aspetti:
  1. Sostenibile da un punto di vista ambientale: deve essere sostenibile a livello ambientale perché potrebbero esserci problemi importanti per la popolazione
  2. Sostenibilità economica: un territorio che vive il passaggio dal tempo 1 al tempo 2 deve essere sostenibile a livello economico, ovvero deve essere in grado di autofinanziarsi. Il percorso di crescita e di sviluppo economico di un territorio può avvenire solo se quest’ultimo è in grado di autofinanziarsi.
  3. Sostenibilità sociale: il panorama sociale è capace di sostenere il passaggio dallo stato 1 allo stato 2, ed è per questo fondamentale coinvolgere la popolazione residente.

MODELLO DI WEBER I precursori Il principale tema affrontato dalla geografia industriale consiste nello studiare le leggi (regole) alla base del processo che conduce alla localizzazione delle industrie. L’esperienza mostra come l’ubicazione dei siti industriali non sia un fatto accidentale, bensì il risultato dell’interazione tra una serie di fattori (morfologici, economici, politici, sociali). La localizzazione industriale è quindi il prodotto di un gioco di forze; tanto più complesso quanto più il sistema procede lungo la via dello sviluppo. I primi studi si hanno tra fine ‘800 e inizi ‘900 con il passaggio dai sistemi artigianali e semi-artigianali a sistemi di produzione industriale. Si analizza in particolare la nascita delle industrie pesanti (siderurgia) e tessili, ubicate in aree limitate (Regno Unito, Germania, USA). Si analizzano regioni a forte tasso di sviluppo socio - economico, all’interno delle quali nascono i primi agglomerati industriali e urbani, grazie all’introduzione dei macchinari e alla maggiore richiesta di forza lavoro. Ci si muove all’interno di un periodo storico in cui l’economia produce forti impatti sul territorio (di carattere morfologico, economico, sociale, ambientale), rimodellandolo. Si assiste alla transizione da un

fra il costo della manodopera e il fatturato complessivo. Il coefficiente del lavoro è dato dal rapporto del costo del lavoro per unità prodotta e il peso localizzatore. Esprimendo unitariamente il peso localizzatore, il coefficiente del lavoro indica il costo per tonnellata prodotta e il dato é pertanto comparabile. Data la struttura degli indicatori si intuisce come al crescere dell'indice del costo del lavoro aumenti l'influenza che questo fattore esercita sulla localizzazione, mentre a mano a mano che aumenta l'incidenza dei materiali l'ubicazione viene attratta dal luogo di estrazione. Il meccanismo che consente l'esatta individuazione del sito dove ubicare l'impresa é basato anche in questo caso sulle isodapane (luogo dei punti con un identico incremento nei costi di trasporto): in particolare l'isodapana critica rappresenta il luogo dei punti nei quali l'incremento dei costi di trasporto dal punto di ottimo uguaglia i risparmi nella manodopera. Ne consegue che l'isodapana critica é il confine oltre il quale l'impresa non avrà convenienza a localizzarsi in quanto la somma algebrica fra aumento dei costi di produzione e risparmi sulla manodopera é positiva e tende ad aumentare. Indipendentemente dall'esistenza di altre ragioni (ad esempio le economie esterne) una spiegazione dell'inerzia era rappresentata dalla produttività del lavoro ; la manodopera in alcune regioni, certamente costava meno ma era caratterizzata da una produttività particolarmente bassa. La realtà weberiana nella quale queste industrie hanno palesato evidenti propensioni ad installarsi in prossimità delle aree metropolitane. Oggi la remunerazione della manodopera per territori contigui e per attività analoghe ha margini di oscillazione piuttosto contenuti. All'interno di uno stesso spazio nazionale intervengono norme che limitano i margini della discrezionalità contrattuale e che provvedono (per ogni comparto produttivo) alla fissazione dei minimi salariali validi su tutto il territorio dello Stato. Il costo del lavoro si rivela quindi notevolmente equilibrato anche se una parte di scarti retributivi si trasferisce su altri oneri. Notevolmente più accentuati risultano, infatti, i divari regionali dei costi del lavoro allorché oltre alle remunerazioni orarie o mensili si considerano anche i fattori non salariali. Pur essendo di difficile commisurazione questi ultimi contribuiscono ad innalzare i redditi reali o, parallelamente, ad aumentare i costi dell'impresa. Fra questi rientrano tutte quelle spese e quelle agevolazioni a carico (anche parziale) dell'impresa e a vantaggio dei lavoratori. A partire dagli anni 80 la manodopera è diventata fondamentale, tanto che attraverso nuovi indicatori è stato possibile capire dove localizzarsi per ottenere un maggiore profitto. Le zone che negli anni 80 erano maggiormente scelte in base alla manodopera erano i paesi dell’Europa Orientale, mentre oggi la meta preferita dagli industriale è la Cina, dove il costo della manodopera è bassissimo. Questa scelta ha fatto si che molti distretti sono andati in crisi, al fine di tagliare tutte le voci di costo possibili, danneggiando anche la qualità. Negli anni di Weber, i primi decenni dello scorso secolo, il costo della manodopera poteva variare in misura anche sensibile fra una regione e un'altra, in virtù delle diverse configurazioni che localmente assumevano la domanda e l'offerta di occupazione. Weber in conformità ai principi delle teorie economiche classiche presupponeva una certa (anche se non perfetta) mobilità nei fattori della produzione. I vincoli e le rigidità introdotte dai successivi sistemi normativi e sociali hanno contribuito al definitivo superamento della costruzione logica weberiana. Localizzazione e manodopera Aspetti quantitativi Un caso in cui la manodopera é in grado di esercitare un ruolo decisivo sulla scelta localizzativa si ha quando l'impianto da realizzare richiede grandi quantità di forza-lavoro. In questa ipotesi la scelta del sito é notevolmente vincolata, in quanto esso deve necessariamente venirsi a trovare all’interno di un grande bacino demografico. L'area interessata deve essere in grado di fornire braccia e cervelli in grandi quantità. Allo stesso tempo le sue dimensioni economiche devono essere tali da metterla al riparo dai contraccolpi che inevitabilmente originano dall'insediamento industriale. La costruzione di una grande industria é di per sé un fattore di squilibrio e quindi solo una regione già dotata di abbondanti riserve di manodopera é in grado di attutirne le conseguenze. L’imprenditore deve domandarsi di quanta manodopera ha bisogno, e questi lavoratori di quale livello dovranno essere. Ci sono territori che si caratterizzano storicamente di manodopera media-alta, mentre ci sono territori che hanno grande quantità di forza lavoro non eccellente. La scelta dell’imprenditore deve localizzarsi nei territori che hanno la manodopera di cui egli ha bisogno. La qualità della forza lavoro varia anche in base al panorama sociale, economico e culturale.

Quando una realtà territoriale si evolve con il tempo abbiamo una spirale evolutiva , la quale indica un territorio che sempre più si evolve, e le industrie evolute saranno sempre più interessate a localizzarsi in questo territorio. Esempio di questo è la Sylicon Valley, dove con il tempo le più innovative industrie, soprattutto tecnologiche, si sono localizzate con il tempo in questo territorio, arrivando ad evolversi sempre di più. Aspetti qualitativi Un ulteriore caso in cui la manodopera esercita capacità polarizzanti nei confronti della localizzazione di una impresa industriale è rappresentato dalla specializzazione. Sono molte le attività secondarie che richiedono manodopera dotata di particolari livelli di qualifica professionale e in assenza di queste competenze la produzione subisce vistosi cali nelle caratteristiche qualitative. La distribuzione territoriale delle capacità e delle attitudini della forza lavoro è notevolmente disomogenea, in quanto è il risultato di un processo storico - culturale. Pertanto l'imprenditore che richieda particolari capacità e addestramento da parte della forza-lavoro può seguire due strade: la prima è quella di localizzare gli impianti non tenendo conto delle particolari esigenze di addestramento degli operai, confidando quindi sulla mobilità del fattore lavoro; mentre la seconda è quella di costruire le officine in quelle località ove la manodopera é disponibile. In genere, maggiori sono i livelli di professionalità richiesti e più elevata é la propensione ad ubicare sul lavoro la nuova impresa. Lo spazio geografico si distingue per la diversa qualifica professionale posseduta dalla popolazione attiva residente nelle varie regioni. Tali differenze di natura tipicamente qualitativa sono alla base di grandi squilibri territoriali e produttivi, in quanto originano fattori inerziali che una volta radicati sul territorio difficilmente potranno essere rimossi. Squilibri alimentati ad esempio dal fenomeno della nuova imprenditoria, dovuta al fatto che i dipendenti più capaci e dotati di spirito imprenditoriale maturano rapidamente in un ambiente particolarmente positivo e ben presto abbandonano le imprese per divenire, a loro volta, imprenditori o lavoratori in proprio. Questi meccanismi sono attivi in presenza delle grandi categorie economiche e, in questo senso, una regione industrializzata tende, per le forze endogene e per il saldo favorevole fra i flussi centripeti e quelli centrifughi della popolazione attiva, ad incrementare lo squilibrio esistente rispetto una regione arretrata. Tali squilibri sono maggiori e rappresentano fattori primari di insediamento in presenza di un tessuto industriale particolarmente specializzato. Aree di intensa specializzazione della manodopera sono presenti anche in Italia, come ad esempio la siderurgia nelle valli bresciane. La Divisione Internazionale del Lavoro Per Divisione Internazionale del Lavoro si intende quel processo di allocazione o riallocazione a scala mondiale di capacità produttive a seguito della presenza di grandi differenze nei potenziali demografici fra i vari paesi, differenze che si traducono in sensibili divari anche nelle retribuzioni della manodopera. Se all'interno di uno stesso Paese la remunerazione della forza-lavoro tende a livellarsi non altrettanto accade su scala internazionale. Nei paesi sovrappopolati il costo della manodopera é irrisorio, se confrontato con quello vigente nelle regioni più sviluppate del globo. La rivoluzione nelle tecniche del trasporto marittimo con l'introduzione del naviglio porta container di grande stazza, ha definitivamente abbattuto i costi unitari di trasporto e, di conseguenza, é risultata fortemente ridimensionata la distanza economica. Nuovi mercati, come ad esempio la Corea meridionale, l'isola di Taiwan, le Filippine, l'Indonesia e le città- stato di Hong Kong e Singapore sono così entrati nell'area economica delle unità produttive dei paesi del Nordamerica, dell'Europa Occidentale e, del Giappone. I risparmi nel costo del lavoro risultano superiori rispetto ai maggiori costi di trasporto, soprattutto se ad essere localizzati in queste regioni sono quegli impianti e quei settori nei quali il costo del lavoro entra in misura significativa nel costo finale del prodotto. In un primo momento si localizzano nei Paesi in Via di Sviluppo, le imprese che operano nei settori Labor-intensive, caratterizzate da una bassa incidenza tecnologica. Ma in pochi anni, con lo sviluppo di queste economie emergenti, si tende a trasferire attività sempre più evolute quali la produzione di hardware, la costruzione di autovetture, di apparecchiature fotografiche, televisive, e ottiche. L'abbattimento dei costi di trasporto ha quindi favorito il diffondersi di un processo di "ubiquitarietizzazione" delle lavorazioni industriali (ossia la possibilità di localizzare un nuovo impianto laddove sono più favorevoli le condizioni produttive, essendo marginale o quasi l'onere aggiuntivo per il trasporto); ha favorito la crescita di alcuni paesi a ritardo

quantità di materia prima ma allo stesso tempo producono grandi quantità di prodotti con tecniche per l’epoca avanzata. Christaller non nega l’importanza di quanto affermato da Weber ma questa logica passa in secondo piano. Il bravo imprenditore è colui che punto a vendere la maggiore quantità di prodotto. In questa fase storica produttore e venditore coincidono. Christaller ci dice, l’imprenditore puntando alla massimizzazione dei prodotti, l’obbiettivo dell’imprenditore deve diventare la massima produzione a patto che si riesca a vendere tutto ciò che si produce. La città di Christaller è quindi il luogo di produzione dei servizi. Chi li vuole acquistare dovrà recarsi nella città, percorrendo distanze più o meno ampie. Ne segue che ogni punto di offerta di un servizio avrà la sua area di mercato, determinabile tramite i concetti di soglia e portata di un servizio. In questi anni fondamentale è la figura Taylor ci dici che i costi per unità prodotti non sono costanti, dove ogni unità in più costa meno rispetto a quella precedente. L’economia del tempo è economia a costi marginali decrescenti , ogni unità prodotto in più costa meno dell’ultima prodotto. Egli parla di ECONOMIE ESTERNE, produzione a costi marginali decrescenti. Sotto consiglio di Taylor, l’imprenditore di automobili Ford decide di attuare il sistema delle catene di montaggio. In questo sistema si hanno stazioni di lavoro in cui viene svolta una singola operazione del montaggio, invece di avere un numero di operai intorno al prodotto. L’autovettura si sposta da una stazione di lavoro, specializzata in una singola lavorazioni. Il risultato finale è ottimizzazione della produzione, perché ogni prodotto in più che viene prodotto con questo sistema costa meno, in quanto riesco a spalmare i costi su una produzione maggiore. Per avere un successo economico bisogna vendere il prodotto. Il problema dell’imprenditore diventa dunque la localizzazione della area di mercato giusta, dove poter vendere i propri prodotti. È importante localizzarsi sui mercati, luogo in cui posso trovare persone intenzionate ad acquistare i miei prodotti. Si punta quindi ha localizzarsi nella grande città o aree densamente popolate perché maggiore possibile domanda. L’imprenditore deve localizzarsi dove la domanda può risultare più vantaggiosa. Riflessioni di Christaller:

  1. Rapporto quantità-prezzo : al ridursi del prezzo aumentano le quantità e di conseguenza all’aumentare del prezzo si riducono le quantità. Le quantità sono in relazione inversamente proporzionale al prezzo.
  2. Rapporto distanza- prezzo: al crescere delle distanza i prezzi pagati dei consumatori aumentano.
  3. Al crescere delle distanze si riducono le quantità domandate (correlazione tra le prime due riflessioni). Si riduce proporzionalmente la quantità domandata, perché la distanza dal punto di produzione aumenta, di conseguenza i prezzi aumentano; i consumatori non acquistano più. È possibile definire il prezzo effettivo o prezzo percepito, ovvero il prezzo finale pagato dal consumatore. Se ipotizziamo l'impossibilità di agire sui costi di localizzazione e di produzione l’unico fattore in grado di mutare il prezzo effettivo è il costo di trasporto. E quindi all’aumentare della distanza dal luogo di offerta aumenterà il prezzo effettivo del servizio e di conseguenza diminuirà la domanda dello stesso All’aumentare la distanza dal punto vendita, sempre più aumenta il prezzo del prodotto= riduzione delle quantità domandate fino a azzerarsi. Ci sarà un luogo in cui il prodotto non coglierà l’interesse del consumatore perché il prezzo sarà troppo elevato, causato dalla distanza del luogo di produzione al luogo di vendita. Secondo Christaller la domanda sarà massima in prossimità del luogo di produzione, sarà via via decrescente allontanandosi da questo luogo, fino ad annullarsi. Anche per Christaller esisterà un luogo in cui risiede il consumatore “indifferente”. Il luogo dove l’imprenditore potrà vendere è limitato ai territori che rispecchiano il prezzo che il consumatore è disposto a pagare per quel prodotto. Si va a stabile un’AREA di MERCATO possibile. In questa fase nasce anche il Made in Italy, ovvero aziende italiane che si localizzano principalmente in base alle principali aree di mercato. Ad esempio il distretto di Fermo-Macerata calzaturiero non ci localizza nelle grandi città, ma in territori densamente abitati da piccole-medie famiglie che rappresentano un importante mercato. I distretti del Made in Italy riescono ad avere successo perché prima riflettono sulle materie prime e sulla forza lavoro successivamente a ragionare sulle aree di mercato, e quindi sulla possibile clientela. I distretti italiani si sono localizzati in posti piuttosto che altro perché rappresentavano le caratteristiche ideali. Questo modello fu successivamente riportato alla luce da Lösch. Nel 1940 LÖSCH propone una teoria in grado di rappresentare la relazione esistente tra aree di mercato e localizzazione industriale, e di

conseguenza tra localizzazione industriale ed equilibrio economico generale. Secondo l'economista tedesco il luogo dove un'impresa industriale decide di ubicarsi non dipende soltanto dai costi di trasporto o dalla disponibilità di alcuni fattori della produzione a buon mercato, ma piuttosto dalla localizzazione degli altri produttori e dall'ampiezza delle rispettive aree di mercato. L'imprenditore nell'individuare il punto ideale dove edificare gli impianti, quindi punta non tanto alla minimizzazione dei costi, quanto alla massimizzazione dei profitti. Secondo questa nuova impostazione il minimo trasportazionale e massimo profitto possono non coincidere. Il nuovo obiettivo diviene vendere la massima quantità possibile di prodotto. Anche Lösch, come Weber, ipotizza una regione pianeggiante, uniformemente percorribile in ogni sua direzione e le cui risorse sono, a loro volta, equamente presenti in tutte le compagini territoriali. All’interno della regione non sono presenti forme di squilibrio economico, politico o geografico. Le eventuali differenze spaziali sono la risultante delle forze economiche. Lösch afferma che la dimensione dell’area di mercato di un bene è ovviamente in funzione della domanda dello stesso sul territorio e la domanda, a sua volta, è inversamente proporzionale alla distanza tra luogo di vendita del bene e luogo di consumo. LA PRODUZIONE DELL’INNOVAZIONE Uno dei teorici che più ha contribuito in ordine cronologico alle teorie sull’innovazione, è Schumpeter (1939), il quale sistematizzò il processo di produzione dell’innovazione ed introdusse la distinzione tra diversi tipi di innovazione. Secondo Schumpeter parlando di innovazione ci si riferisce ad un’ampia gamma di possibilità che riguardano: 1 L’innovazione di prodotto, ovvero l’introduzione di un nuovo prodotto o una sua nuova versione sul mercato. 2 L’innovazione di processo, ovvero l’introduzione, a partire da una nuova scoperta scientifica, di una nuova tecnologia, ottenendo prodotti già presenti sul mercato 3 L’innovazione organizzativa dell’impresa, ovvero l’introduzione di nuove e più efficienti modalità organizzative e gestionali all’interno della singola impresa. 4 L’innovazione organizzativa dell’industria, legata all’introduzione di innovazioni organizzative all’interno dell’intero settore, come ad esempio la creazione o la rottura di una posizione di monopolio. L’innovazione si compone di 3 fasi successive:

  1. L’ invenzione , ovvero l’aggiunta di nuovi prodotti e tecniche al preesistente bagaglio di conoscenze.
  2. L’ innovazione , ovvero l’applicazione dell’invenzione nel processo produttivo.
  3. L’ imitazione , ovvero l’adozione da parte di altri imprenditori della medesima innovazione. Una caratteristica dell’impianto teorico di Schumpeter sta nell’aver individuato nell’imprenditore il soggetto chiave del processo innovativo. Lo studioso riconduce il processo innovativo al sogno ed alla volontà di realizzazione individuale dell’imprenditore. Così inteso, il processo innovativo è casuale , e soprattutto non spiega l’esistenza della ricerca organizzata da parte della grande impresa industriale, la quale da tempo affianca l’innovazione casuale individuale. Il processo di innovazione secondo Schumpeter è alla base di una dinamica discontinua del sistema socioeconomico, che in tal modo è investito da fluttuazioni cicliche. Schumpeter identifica nel cambiamento tecnologico di origine casuale il motore delle instabilità cicliche dell’intero sistema. Si avranno così onde lunghe, ciascuna delle quali scomponibile in quattro fasi: prosperità, recessione, depressione e ripresa. Queste onde nono durano allo stesso modo. Man mano che aumenta la capacità innovativa queste curve temporali tendono a diminuire.L’innovazione ha un suo ciclo vitale che comincia dai paesi più evoluti. Oltre la teoria di Schumpeter L’introduzione e la diffusione dell’innovazione dipendono dal contesto sociale, economico e culturale di riferimento. Di conseguenza la produzione di innovazione assumerà valenze diverse a seconda del luogo in cui origina. La sua diffusione, inoltre, dipenderà dalla struttura delle relazioni e dai canali di diffusione dell’informazione, dalla presenza di fattori di stimolo e di frontiera, dal contesto storico e culturale. Le nuove teorie introducono i concetti di traiettoria tecnologica e di selection environment. Per Traiettoria Tecnologica si intende la direzione lungo la quale un’innovazione tecnologica può liberamente svilupparsi, sia perché esistono particolari condizioni di mercato, sia perché il progresso

potenziale innovativo regionale che assumerà caratteristiche specifiche a seconda dei contesti in cui operano le imprese e delle modalità di interazione reciproca. Teoria del ciclo di vita del prodotto La vita di un nuovo prodotto segue una curva logistica scindibile in stadi distinti, denominata ciclo di vita del prodotto. Trasposto sullo spazio, il ciclo di vita del prodotto spiega la divisione spaziale del lavoro: muovendo dall’organizzazione d’impresa e dal contenuto innovativo del prodotto immesso sul mercato, si ipotizzano i rapporti (casuali) tra processo innovativo e strutturazione dello spazio economico. Ogni prodotto abbia un ciclo di vita schematizzabile in cinque fasi distinte:

  1. Lo sviluppo iniziale del prodotto : presuppone un avvio rapido sul piano della tecnologia, in un ambiente caratterizzato da poche imprese concorrenti e pochi acquirenti, con un volume delle vendite destinato a salire. Tale fase necessita infatti di condizioni innovative particolari, essendo fondata sulla conoscenza tecnica e sull’elevata capacità imprenditoriale e manageriale. La tecnologia in questa fase è detenuta da pochi soggetti, i quali hanno la possibilità di accedere alle più qualificate risorse dell’ambiente economico che li circonda: fornitori di input tecnologici, destinatari del prodotto tecnologicamente avanzato. Quest’ultimo è personalizzato e prodotto in volumi minimi. Le condizioni necessarie per la creazione e l’introduzione di un nuovo prodotto fanno riferimento all’imprenditorialità, al lavoro qualificato, all’ambiente tecnologico e ad un mercato particolarmente vivace. Si tratta di condizioni proprie delle principali aree metropolitane all’interno dei Paesi economicamente avanzati. Le imprese e gli impianti destinati all’introduzione di un nuovo prodotto perseguirebbero dunque una logica localizzativa orientata ai Paesi ed alle aree centrali del sistema economico mondiale. Territori in cui il reddito è elevato e si trovano le condizioni funzionali ed infrastrutturali richieste.
  2. La fase della crescita, che vede un più lento sviluppo della tecnologia, l’aumento rapido degli acquirenti, il progressivo incremento delle imprese produttrici concorrenti.In questa fase si creano infatti le condizioni per una produzione in serie, destinata ad un consumo di massa, ma bisognosa di capitali finanziari e capacità commerciali elevate. La sua strategia localizzativa tenderà tuttavia a segmentarsi territorialmente: essa manterrà nelle aree centrali le funzioni di ricerca tecnologica per innovazioni di tipo incrementale e per la messa a punto del prodotto/processo, mentre trasferirà nelle aree tecnologicamente intermedie gli impianti di produzione, in maniera tale da ottenere vantaggi di costo.
  3. La terza fase, quella della maturità, che corrisponde al picco della domanda e alla progressiva uscita dal mercato dei concorrenti più deboli, mentre la tecnologia tende a stabilizzarsi e a standardizzarsi. La domanda si avvicina ad un livello di saturazione e la riduzione dei costi diviene l’unica strategia in grado di mantenere l’impresa competitiva. Gli stabilimenti, non richiedendo manodopera qualificata, possono essere trasferiti laddove esistono bacini di manodopera a basso costo, ovvero paesi e regioni a livello tecnologico inferiore e bassi livelli di reddito, mentre la produzione continua ad essere venduta nei Paesi in cui ha avuto origine l’innovazione. Negli anni ’60 tale strategia ha portato diverse produzioni mature a trasferirsi verso alcuni Paesi del Sud-Est Asiatico e dell’America Latina.
  4. La quarta fase, del declino, che vede la stabilizzazione dei concorrenti e la progressiva diminuzione della domanda; dunque subentra allorché la domanda è satura ed il prodotto, ormai superato, viene posto fuori dal mercato.
  5. La quinta fase, dell’obsolescenza, presuppone il crollo della domanda. La teoria del ciclo di vita del prodotto è adattabile allo spazio per rappresentarvi la distribuzione dei diversi momenti produttivi. Lo schema spaziale del ciclo di vita del prodotto si articola allora in tre tipologie di regioni industriali:
  6. La prima regione, detta area centrale (che corrisponde ai Paesi occidentali), accoglierebbe la prima fase di vita del prodotto, la quale necessita di attività di ricerca e di capitale finanziario, di manodopera specializzata, di servizi alla produzione. Il centro include dunque quei Paesi o quelle economie che rappresentano il cuore del processo di accumulazione capitalistica; all'interno di questo si realizza in maniera più efficace che altrove lo scambio di informazioni, idee, servizi; esso rappresenta inoltre il più vasto mercato di consumo per la produzione mondiale, dal momento che il contenuto tecnologico rende il prodotto abbastanza costoso e commercializzabile preferibilmente all’interno dei Paesi avanzati.
  1. La seconda regione, definita area semi-periferica , accoglie la fase di maturità del prodotto. Gli impianti possono essere decentrati al di fuori dei Paesi sviluppati e delle città principali, verso altri Paesi industriali o in regioni meno importanti all’interno del Paese di origine. A questa fase corrisponde sostanzialmente la logica della penetrazione statunitense in Europa, attuata anche attraverso l’apertura di filiali per la vendita del prodotto oltre che di stabilimenti per la produzione. La semiperiferia gode solo in parte dei vantaggi del centro, e comprende quei Paesi attraverso i quali il centro esercita il proprio controllo sulla periferia, comprese le aree di recente industrializzazione e le regioni agricole saldamente collegate ai circuiti internazionali; essa è tecnologicamente e finanziariamente dipendente dal centro , che ne domina le decisioni.
  2. La terza regione, quella periferica , accoglie la fase della standardizzazione del prodotto, nella quale il fattore localizzativo più importante diventa il basso costo del lavoro. Le tecnologie vi vengono di solito trasferite quando sono nella fase di maggiore standardizzazione, quando sono piuttosto ripetitive e necessitano di ampie quote di manodopera a basso costo. La periferia coincide con i numerosi territori arretrati, fonti di materie prime, prodotti agricoli, forza lavoro a basso costo. La povertà diffusa e l'instabilità politica, l'arretratezza tecnologica sono i tratti salienti di queste economie, subordinate e dipendenti nei confronti della dinamica evolutiva mondiale. Nella realtà, una volta introdotto sul mercato, il prodotto subisce modifiche ed adattamenti (innovazioni incrementali), per cui raramente alla fine del ciclo il prodotto si presenta sotto la medesima forma iniziale. Ciò, tuttavia, ha conseguenze rilevanti sull’andamento del ciclo di vita del prodotto. In risposta alle contrazioni della domanda, successive innovazioni incrementali dilatano la vita tecnologica del bene, allontanando l’avvio della fase di maturità e dunque l’avvio del decentramento della produzione verso altre regioni a sviluppo tecnologico ritardato. Tale modifica al ciclo di vita spezza la validità del nesso causale fra ciclo di vita e logiche localizzative. Considerando i settori tecnologici più avanzati il ciclo di vita del prodotto (e la conseguente logica localizzativa) si modifica ulteriormente, alla luce del rapido succedersi delle quattro fasi. I beni tecnologicamente avanzati si caratterizzano infatti per la brevità del ciclo di vita il quale impone tassi febbrili di innovazione. Si pensi ad esempio ai prodotti informatici, la cui obsolescenza subentra talvolta nel giro di pochi mesi. Le imprese specializzate nei settori altamente tecnologici si contraddistinguono pertanto in funzione di logiche localizzative proprie alla ricerca di manodopera altamente qualificata, e di input di ricerca scientifica e tecnologica pressoché costanti. L’elevata frequenza dei cicli suggerisce l’assenza della fase di maturità (standardizzazione) da una parte, e l’elevata specializzazione di poche aree dotate dei requisiti richiesti dall’altra. Ciò comporta una inerzia localizzativa che smentisce il modello sequenziale e nella quale i vantaggi di agglomerazione giocano un ruolo decisivo nel guidare i comportamenti delle imprese tecnologicamente innovative. Alta tecnologia e localizzazione I settori altamente tecnologici, in cui ricerca ed innovazione sono connaturate alla strategia aziendale, hanno messo in luce logiche localizzative proprie. La localizzazione di questi settori chiama in causa una seconda categoria di fattori, i fattori discreti di area , ma riferiti a specifici attributi in grado di favorire la generazione e la diffusione di produzioni altamente tecnologiche. In questa nuova logica localizzativa si spiegano i fenomeni di concentrazione delle attività innovative con conseguente specializzazione regionale. L’analisi dei fattori di localizzazione ha messo in luce, fra l’altro, l’importanza della prossimità fisica tra ricerca e produzione, così come tra imprese concorrenti. Tuttavia l’avvio di processi virtuosi di sviluppo di imprese altamente innovative in una specifica area richiede una particolare dotazione di fattori a monte. Se la presenza di fattori di area è un passaggio imprescindibile per la descrizione del fenomeno, essa non spiega perché si sia innescata una traiettoria innovativa. Al contrario è dalla loro interazione sullo spazio che origina un processo sinergico di interazione tra struttura produttiva e società. E’ dunque necessario passare ad una teoria della localizzazione che sappia dar conto delle condizioni storiche, sociali, economiche e culturali sottese ai processi di innovazione. FENOMENO DELLA MULTINALIZIONALIZZAZIONE Per impresa multinazionale si intende quell’impresa dotata di attività produttive, di proprietà o controllate, distribuite in Paesi diversi da quello d’origine, pur mantenendo in quest’ultimo il proprio centro decisionale.

L’innovazione tecnologica permette di ridurre i costi e i tempi del trasporto. Questo sviluppo ha reso le distanze minime. Lo sviluppo tecnologico ha coinvolto anche le telecomunicazioni. La recezione delle informazioni è molto più fluente lo sviluppo tecnologico ha reso tutto più facile. Questo ha comportato un avvicinamento di culture, l’innovazione è in grado di ridurre le distanze culturali. L’evoluzione delle multinazionali fu segnata in particolare dal processo di internalizzazione delle funzioni, orientato essenzialmente alla diminuzione dell’incertezza. A partire dagli anni ’70 prese avvio la terza generazione di multinazionali, il cui flusso di Investimenti Diretti Esteri (IDE) nell’arco di un decennio cresceva mediamente del 15% annuo, cioè ad un tasso di crescita tre volte superiore a quello registrato nei due decenni precedenti. Ciò ha determinato il decentramento della produzione , alimentato specificamente dall’abbattimento dei costi di trasporto e dal miglioramento dei sistemi di comunicazione (dunque della riduzione della distanza fisica ed economica), fattore che rese le imprese virtualmente indipendenti rispetto ai vincoli esercitati dalla distanza. A ciò si aggiunse l’omogeneizzazione dei mercati, per cui i medesimi prodotti cominciarono ad essere venduti su scala internazionale. Ciò fu favorito ulteriormente dall’abbattimento delle barriere commerciali. Le multinazionali di terza generazione, in pratica, optarono per strategie internazionali volte non solo a realizzare elevati volumi di produzione a basso costo, ma anche il controllo della commercializzazione e lo sviluppo delle tecnologie. Il decentramento della produzione in particolare seguì una logica di tipo funzionale , nel senso che furono delocalizzate le attività più semplici e standardizzate del ciclo di produzione, per la cui esecuzione occorreva una manodopera scarsamente qualificata ed a buon mercato. Dividendo la filiera produttiva in stazioni di lavoro, la produttività aumenta. Gli imprenditori grazie a questo fenomeno si rendono conto che hanno la possibilità di localizzare le varie produzioni nelle vari parti del mondo, dove è più conveniente realizzare una parte del prodotto. Invece di svolgere tutte le attività all’interno di un unico sito industriale, l’imprenditore decide di delocalizzare la produzione perché registra dei vantaggi economici enormi. Ad esempio in altre realtà territoriali possiamo avere un costa della vita inferiore, un costo della manodopera inferiore. A partire dagli anni ’70 la produzione si riorganizzò dunque alla luce di due principi: quello della specializzazione produttiva dei singoli impianti e quello della specializzazione geografica della produzione. Da un lato l’automazione e la razionalizzazione del ciclo di produzione consentirono una riorganizzazione in chiave multifunzionale; dall’altro l’abbattimento dei costi di trasporto determinò la riorganizzazione in chiave multilocalizzata dell’impresa. In base alla segmentazione dei fattori della localizzazione, si produsse una gerarchia localizzativa che rispecchiava la divisione delle funzioni all’interno dell’impresa. I forti progressi tecnologici nel settore dei trasporti negli anni ’50 hanno avuto come conseguenza l’abbattimento della distanza funzionale di trasporto. Questa è determinata da due fattori: il tempo di percorrenza ed il costo di percorrenza. Su entrambi agiscono vincoli tecnici, economici e naturali. L’abbattimento di tali vincoli, il cui risultato è stato una diminuzione dei costi e dei tempi di percorrenza, è da attribuirsi specificamente a tre processi: l’aumento delle infrastrutture, l’aumento di mezzi specializzati; la migliore organizzazione dei trasporti, grazie all’introduzione e alla diffusione del container. Questo ha consentito l’ unitizzazione dei carichi, e l’integrazione tra i mezzi di trasporto, grazie alla possibilità di trasferire il modulo di carico dalle navi agli autocarri fino agli aerei a costi e tempi di carico/scarico decisamente ridotti rispetto al passato, e con un minore impiego di manodopera. A ciò si deve lo sviluppo del trasporto intermodale , in cui appunto i modi di trasporto sono integrati attraverso l’unitizzazione dei carichi. Accanto al trasporto intermodale a partire dagli anni ’50 si sviluppa il trasporto combinato, del quale una delle forme più diffuse è il sistema roll-on/roll-of, che consente di trasferire direttamente un mezzo di trasporto, con o senza motrice, su un altro per poi scaricarlo a destinazione. La Divisione Internazionale del Lavoro Le conseguenze spaziali della rivoluzione dei trasporti consistono in un’intensificazione ed espansione delle relazioni spaziali della produzione su scala internazionale. In particolare, gli effetti dell’abbattimento della distanza funzionale di trasporto hanno cambiato l’organizzazione spaziale della produzione della grande impresa: l’abbattimento dei costi di trasporto ha consentito all’impresa di perseguire le medesime strategie di internalizzazione delle economie di scala e di varietà, ma su una scala geografica più ampia. Le economie sono state perseguite deverticalizzando il processo produttivo e localizzando altrove le diverse fasi della

produzione. Si sviluppa la DIVISIONE INTERNAZIONE del LAVORO (DIL), la quale dice che le multinazionali distribuiranno le loro produzione in base ai territorio dove registreranno dei vantaggi economici. In particolare le parti più semplici e standardizzate del processo sono le prime ad essere decentrate, nella ricerca di manodopera a buon mercato, mentre quelle più qualificate rimangono nelle localizzazioni originali. E’ l’avvio del processo di divisione spaziale del lavoro , ovvero si ha la proiezione nello spazio della divisione funzionale interna alle grandi imprese. Ed è anche l’avvio della segmentazione dei fattori localizzativi , per cui l’impresa non si muove più come un tutt’uno alla ricerca di un punto di ottima localizzazione. Gli imprenditori sono improntati a scegliere il territorio più adatto per la lavorazione a livello economico. In questa fase di internazionalizzazione coinvolge non più 12-14 paesi, ovvero i proprietari delle multinazionali sono presente solo nei paesi in cui le condizioni socio-economiche possono garantire garanzie agli imprenditori. Divisione internazionale del lavoro sempre più accentuata o alcune volte viene chiamata divisione geografica del lavoro, perché riguarda solo alcune aree geografiche. Fondamentale è la delocalizzazione della produzione nei paesi asiatici soprattutto in ambito tecnologico, produzione di singoli parti che venivano assemblate nei paesi di origine della multinazionale. Riescono ad ottenere dei vantaggi economici importanti. Questi paesi si definiscono le tigri asiatiche perché sono riusciti ad apprendere dalle multinazionali europee per produrre autonomamente prodotti, a costi ottimi, infatti sono diventati i concorrenti delle multinazionali. Questo fenomeno parte in piccolo per poi svilupparsi in territori sempre più lontani per un fattore economico. I paesi ospitati rispetto alla multinazionale siano sottomessi rispetto al paese che sta investendo, per questo si può parlare di geo politica, ovvero tramite gli investimenti il paese dominante conquista l’economia dei paesi sottomessi. L’imprenditore fa una scelta per i propri interessi economici. Questo percorso arriva fino a metà anni 90 in maniera crescente ma soprattutto costante a livello di paesi. Si sviluppa la Nuova Distribuzione del Lavoro, che a differenza della prima, la quale si basava sui differenziali internazionali nella dotazione di materie prime e beni; essa è diretta conseguenza dell’egemonia dei Paesi industrializzati sulla periferia del mondo, fornitrice di manodopera a basso costo. GLOBALIZZAZIONE E LOCALIZZAZIONE Territori esclusi dalle logiche delle multinazionali diventano degni dell’attenzione delle multinazionali. La presenza di una multinazionale ha un grande impatto sul territorio, produrre dei forti cambiamenti. Cambiamenti di stile di vita, comincia ad essere un fenomeno capace di incidere sulla comunità locale. La comunità locale si avvicina alla cultura di chi investe nel territorio. Agli inizi degli anni 2000 il potere di questi gruppi di multinazionali era diventato talmente forte, da non essere più controllabile dai governi, perché presente in 40-50 territori deboli, perché facilmente gestibile. Questi paesi si sono avvicinati alla cultura dell’investitore, territori che in maniera spontanea si sono standardizzati ai paesi investitori, ovvero 6-7 paesi. Il risultato è che questi pochi paesi stanno controllando il globo. Processo di globalizzazione che cambia gli equilibri, mettendo a rischio l’esistenza di popoli, culture, accordi geopolitici ecc. Il termine globale indica i fenomeni o quelle relazioni che si estendono nell’intera superfici del pianeta, come la circolazione atmosferica, il commercio del petrolio ecc. All’opposto si intende a definire locali quei fenomeni che interessano solo una parte della superficie terrestre, indicando porzioni diversi di territorio, come città, regione o continente. In senso stretto un fenomeno è locale quando deriva da elementi presenti in quel luogo: si parla quindi di clima locale, produzioni locali. Un tempo i circuiti della produzione e degli scambi si limitavano principalmente ad una scala locale, lasciando la scala sovralocale solo ad alcuni beni rari, fortemente ubicati, quali ad esempio, nel medioevo, l’avorio, le spezie e i metalli preziosi. Con l’età moderna, con la conquista dell’intero pianeta da parte degli europei, si diffusero sempre più gli scambi a scala planetaria. Si assiste ad una crescita del volume degli scambi sia in termini quantitativi che qualitativi (materie prime e prodotti finiti). Tra la fine del XIX secolo e la metà del XX secolo mercati ed economia sono certamente, almeno in parte, mondializzati. La Globalizzazione è fenomeno nuovo perché negli ultimi anni questi rapporti e flussi planetari che si sono estesi ed intensificati al punto da sopravanzare ogni confine, culturale e politico. Le realtà locali non sono al riparo da quelle globali. È impossibile controllare la posta con l’esterno.

Joint ventures e accordi di cooperazione: imprese autonome decidono di collaborare in specifiche iniziative produttive (sperimentazione e sviluppo tecnologico, ma anche commercializzazione), svolgendo ognuna una funzione specifica all’interno del progetto. Alleanze strategiche: sono la novità più diffusa e radicale rispetto al comportamento delle multinazionali del passato. Imprese radicate in aree diverse, operanti nel medesimo settore, decidono di collaborare, alla ricerca di vantaggi competitivi, restando comunque ognuna all’interno del proprio. Si ha così un’impresa multinazionale sempre più flessibile e libera di muoversi tra i diversi continenti che, perseguendo ovviamente l’obiettivo della riduzione dei costi (di produzione, di approvvigionamento della materia prima, dei semilavorati e della tecnologia), scompone in molteplici fasi il suo ciclo produttivo, distribuendole tra altrettanti Paesi. Nasce l’Impresa Globale , l’ultimo stadio dell’attuale sistema industriale. Si tratta di imprese altamente flessibili, complesse, difficili da gestire. Al loro interno, in base al mercato di destinazione, si lavora contemporaneamente su produzioni standardizzate, di massa, e su produzioni di nicchia. Alcune unità locali si specializzeranno sulle prime, altre sulle seconde, altre ancora lavoreranno su entrambe. La produzione dipenderà allora: dai differenziali di costo, dalla scelta di penetrare nuovi mercati, dal tentativo di avvicinarsi a regioni a forte vocazione tecnologica, dall’assenza di leggi vincolanti in tema di inquinamento ambientale. A partire dagli anni ’80 si è verificato il fenomeno della nascita della fornitura internazionale : alcune imprese, appartenenti a gruppi o autonome, si sono specializzate nella produzione di materie prime. o di semilavorati, diventando fornitori delle stesse in ogni parte del mondo. Si pensi ad esempio alle componenti elettroniche provenienti da Taiwan, Singapore, Hong Kong, o ancora alle parti di autovetture prodotte in Corea, India e Thailandia, e all’orologeria proveniente dalle Mauritius.

Internazionalizzazione e globalizzazione dell’economia In un’epoca di globalizzazione diviene sempre più elevata la qualità media dei prodotti richiesti, anche da parte di economie in ritardo. Questo deriva dalla diffusione dell’informazione, dall’incremento del reddito medio e dall’abbattimento delle frontiere commerciali. Differenze tra Internazionalizzazione e Globalizzazione:

  1. Rapida crescita del commercio internazionale tra economie industrializzate / Più rapida crescita del commercio internazionale fra paesi sviluppati ed economie in via di sviluppo
  2. Accordi internazionali bilaterali/ Moltiplicazione degli accordi fra paesi, formazione di aree di libero scambio, ruolo crescente esercitato dagli organismi internazionali (GATT, FMI)
  3. Il commercio internazionale riguarda soprattutto i produttori manifatturieri /I flussi commerciali di servizi crescono più rapidamente rispetto a quelli di manufatti
  4. Gli investimenti internazionali sono diretti quasi esclusivamente verso i paesi industrializzati /Gli investimenti internazionali coinvolgono pressoché tutti i paesi
  5. Le imprese multinazionali operano in un numero limitato di paesi/ Le imprese multinazionali operano in un ampio ventaglio di paesi, sia industrializzati che in via di sviluppo
  6. Le fonti tecnologiche sono essenzialmente nazionali /La provenienza della tecnologia è multinazionale
  7. Il ciclo di vita dei prodotti evolve lentamente /In seguito all’innovazione e alla crescente competizione internazionale si riduce il ciclo di vita dei prodotti
  8. Gli scambi internazionali di brevetti e di risorse umane avvengono all’interno delle grandi imprese multinazionali /Si moltiplicano gli scambi, si specializzano le risorse umane, aumentano le fonti di informazione tecnica e scientifica
  9. I semilavorati e le materie prime provengono da un numero limitato di economie /I semilavorati e le materie prime provengono da una pluralità di paesi DISTRETTI INDUSTRIALI Teorie sui distretti Nel corso degli anni ’90 si torna ragionare sulla distribuzione spaziale delle attività produttive e si inizia a riflettere sulla localizzazione di attività immateriali quali ad esempio la finanza, le telecomunicazioni, l’elaborazione dati. Una notevole quota della produzione mondiale si concentra in poche città o regioni, e le

imprese appartenenti alla medesima filiera produttiva tendono a localizzarsi le une in prossimità delle altre, formando una concentrazione geografica delle attività. Già nella prima metà del Novecento Marshall ci presenta queste realtà territoriali, comprese da diverse organizzazioni: come istituzioni, università, che si aggregano tra loro. Grazie a nuovi strumenti e nuove correnti di pensiero anche la geografia economica si è evoluta con il passaggio a quella che viene definita la “ nuova geografia economica ” (Krugman, 1991, modello centro – periferia). Obiettivo di questa nuova corrente di pensiero è spiegare le divergenze nei percorsi di sviluppo regionale partendo da un dato di fatto: se esistono economie di scala sufficientemente forti il produttore ha vantaggio a servire i clienti da un’unica località (sito); se i costi di trasporto continuano ad essere significativi il produttore si localizzerà in quel luogo che gli permetterà di raggiungere il maggior bacino di utenza con i minori costi di trasporto. Una regione che ospita numerose imprese e quindi numerosi consumatori (e quindi è un mercato di sbocco) necessariamente offre altrettanti vantaggi localizzativi al nuovo imprenditore ed è destinata a crescere ulteriormente a scapito di altre, in ritardo. In tale contesto, data la mobilità dei fattori produttivi, le regioni periferiche vengono private sia dei capitali che della manodopera, che trovano, ovviamente, una maggiore remunerazione nelle regioni maggiormente sviluppate. Le regioni periferiche, non producendo, sono costrette ad acquistare i prodotti dalle regioni forti (definite centrali), provocando un sistema di dominio del centro verso la periferia (Modello Centro – Periferia). Sviluppo e sottosviluppo regionale sono quindi fenomeni cumulativi. Nel 1998 Michael Porter riflettendo su modelli e teorie di chi lo ha preceduto formula un interessante percorso per leggere e interpretare le dinamiche economiche territoriali: il Cluster. È un insieme di imprese e istituzioni geograficamente prossime ed economicamente coese. L’interconnessione economica è leggibile attraverso i rapporti verticali (tra impresa e clienti) e orizzontali (tra imprese complementari e concorrenti). Devono quindi esistere più imprese interconnesse, indipendentemente dalla loro dimensione e dal settore d’azione. Secondo Porter le imprese di un cluster diventano più competitive grazie alla disponibilità in loco di fattori produttivi qualificati (ad esempio forza lavoro specializzata), di fornitori di beni intermedi, di concorrenti che spingono l’intero settore alla ricerca di economie di scala (puntando all’innovazione mantenendo comunque elevati gli standard di qualità), di istituzioni pronte ad offrire servizi e infrastrutture di livello elevato e a collaborare con gli imprenditori locali. Elemento fondamentale è la presenza di un clima socio - culturale favorevole all’imprenditorialità e di una reciproca stima e fiducia tra operatori privati e amministrazioni pubbliche. La competitività di un cluster appare quindi un fenomeno dinamico; deriva dalla continua interazione tra imprese, istituzioni e ambiente locale, elementi modificabili in qualsiasi momento. Elementi dei distretti La nascita di un distretto richiede la compresenza di questi elementi:

  • La combinazione di fattori produttivi presenti nella regione o acquisibili all’esterno: Elemento base per la nascita dei distretti industriali è l’ottima combinazione di fattori produttivi, presenti sul territorio o acquisiti all’esterno. Questi fattori non sono distribuiti in modo omogeneo sul territorio. L’unico fattore ovunque disponibile è il capitale umano, ma anche questo può non essere di tipo omogeneo. Esiste forza lavoro di basso livello, specializzata, altamente specializzata, e di conseguenza si avranno distretti basati su attività via via più avanzate. In alcune aree si ha specializzazione in attività semiartigianali, tramandate di padre in figlio, con radici profonde nella storia del luogo. Molto spesso questa tradizione è alla base della nascita di un distretto industriale. Infine, un fattore produttivo da non sottovalutare è la disponibilità di capitale finanziario, necessario per far nascere e sviluppare i distretti. Inoltre, per un distretto valida può essere dell’imitazione delle tecnologie presenti in altre regioni. Per imitare occorre la presenza di capacità tecniche scientifiche e imprenditoriali notevoli. L’imitazione può anche essere il risultato prodotto dal fenomeno della migrazione. Punto fermo per creare un nuovo distretto è comunque la disponibilità di capitali. Questi devono essere disponibili sul posto, e quindi devono essere il risultato di altre attività o di un sistema finanziario localizzato. Una forma di interazione economica è il decentramento produttivo: imprese appartenenti ad una regione sviluppata (detta centrale) commissionano a regioni periferiche singole fasi del processo produttivo, semilavorati o prodotti completi. Nel momento in cui una regione periferica riesce a riprodurre fedelmente i prodotti, a staccarsi dalla casa madre, può nascere un distretto industriale