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La teoria della localizzazione industriale, analizzando i fattori che influenzano la scelta del luogo di produzione da parte delle imprese. Vengono esaminati i costi di trasporto, la disponibilità di manodopera, le economie di scala e l'influenza della tecnologia sulla localizzazione industriale. Una panoramica generale dei principali concetti e teorie, offrendo una base per ulteriori approfondimenti.
Typology: Study notes
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Dogma e Ideologia : Sono le regole alla base della nostra esistenza. Le grandi leggi fondamentali da noi condivise, necessarie per spiegare la nostra esistenza. Alla base della società perché ci dà una serie di spiegazioni a situazioni difficilmente spiegabili. Culti differenti aprono la strada a modi di vivere differenti. L’appartenenza a un dogma è dettata dal fatto che un individuo condivide spontaneamente quelle regole. Paradigma : è un insieme di proposizioni logiche, condivise da una comunità scientifica. Un modo scientifico di procedere nel proprio ragionamento. Un paradigma si compone di una serie di teorie (in economia abbiamo i classici, i neoclassici, i marginalisti...). Rappresenta il modo di procedere nel proprio ragionamento. Teoria : un insieme di passaggi logici che permettono di giungere, partendo da una o più ipotesi (affermazioni scientifiche), all'esplicitazione di una tesi e delle sue conseguenze sul territorio. È un passaggio causa - effetto. La teoria si basa sul paradigma che l’individuo ha scelto di aderire e di conseguenza al dogma. Modello : è una rappresentazione semplificata della realtà. Non posso rappresentare una realtà complessa in tutte le sue componenti, la semplifico. È inoltre un modo per ricondurre all'interno di principi logici alcuni fatti apparentemente casuali. Strumento : è un mezzo che utilizzo per dimostrare le mie teorie e costruire i miei modelli: per la geografia economica strumenti sono ad esempio la statistica, la matematica, la cartografia, la demografia, l’economia. Lo strumento serve ad esprimere la validità di una teoria attraverso certezza condivise e dimostrate da alttri, e quindi serve a rendere veritiero ciò che si sta affermando. Gli strumenti devono essere validi all’interno di un paradigma di riferimento e sono accettati dal dogma da cui prede avvio. LIVELLI DELLA CONOSCENZA
termine Possibilismo. Elencandone i principi basilari: La natura non impone solo vincoli ma offre varie possibilità di occupazione del suolo e di utilizzazione delle risorse. Le comunità, pur se entro certi limiti, esercitano una scelta tra le possibili alternative. La scelta è compiuta in base alla cultura, alla tecnologia, alle circostanze storiche. Assumono estrema importanza i termini genere di vita (l’insieme dei comportamenti sociali relativi al territorio) e paesaggio. È chiaro come il singolo paesaggio varierà al mutare del comportamento, delle abitudini e delle attività economiche della popolazione che lo occupa. L’uomo diviene un fattore geografico.
La REGIONE SISTEMATICA (Von Bertalanffy, 1968): rappresenta l’evoluzione, il perfezionamento del paradigma funzionale. È il prodotto dell’incontro tra geografia e teoria generale dei sistemi. Si ritiene che i rapporti tra comportamento sociale e territorio siano orientati a produrre sistemi. Il sistema può essere definito come un insieme di elementi, tangibili e intangibili, tra loro interdipendenti ed orientati. Si punta all’individuazione dell’interdipendenza tra elementi del sistema, si vogliono cercare le leggi che lo regolano. Il risultato di queste connessioni è l’aspetto importante. Il territorio viene messo a sistema per produrre un risultato, ovvero evidenziare tutti gli elementi sul territorio e organizzare, di conse3guenza tutta la filiera produttiva. Tutti gli elementi vengo messi a sistema per produrre maggiore ricchezza. Si assiste quindi al ripudio totale del paradigma deterministico. Si introduce il concetto di Processo, ovvero l’insieme di fenomeni, flussi, interazioni che si generano tra gli elementi del sistema. Nel senso che la regione, lasciata libera, seguirà una sua direzione. Il grande vantaggio della regione sistematica è quello di poter prevedere il comportamento del territorio, in quanto il territorio lancia dei messaggi e attraverso gli strumenti giusti è possibile comprendere ed interpretare questi messaggi. Si giunge in particolare a definire il Processo Orientato, in cui il sistema stesso è orientato. La regione ha una sua direzione, intuibile attraverso strumenti di analisi. Il paradigma Olistico : tra la fine degli anni ’70 e inizio anni ’80 si introduce il concetto di idea olistica nell’organizzazione del territorio. L’Olismo è una teoria biologica secondo la quale l’organismo deve essere studiato in quanto totalità organizzata e non come semplice somma di parti (è proprio ciò che avviene nello studio delle regioni). Il paradigma olistico si contrappone al paradigma Sintagmatico. Il funzionalismo aveva già inquadrato la superficie terrestre, come un insieme di elementi interdipendenti; la Teoria Generale dei Sistemi trasferisce l’attenzione dalla struttura in se al Processo che la muove verso determina i traguardi. Dal Sistema spaziale Aperto alla Regione Sostenibile : La Regione viene studiata come un Sistema Spaziale Aperto. Il Sistema Spaziale Aperto è un insieme di elementi umani, fisici e immateriali interconnessi e mossi da uno stesso processo, aperto alle relazioni esterne, e in grado di opporsi a comportamenti degradativi. I termini fondamentali sono quindi: 1) struttura,
MODELLO DI WEBER I precursori Il principale tema affrontato dalla geografia industriale consiste nello studiare le leggi (regole) alla base del processo che conduce alla localizzazione delle industrie. L’esperienza mostra come l’ubicazione dei siti industriali non sia un fatto accidentale, bensì il risultato dell’interazione tra una serie di fattori (morfologici, economici, politici, sociali). La localizzazione industriale è quindi il prodotto di un gioco di forze; tanto più complesso quanto più il sistema procede lungo la via dello sviluppo. I primi studi si hanno tra fine ‘800 e inizi ‘900 con il passaggio dai sistemi artigianali e semi-artigianali a sistemi di produzione industriale. Si analizza in particolare la nascita delle industrie pesanti (siderurgia) e tessili, ubicate in aree limitate (Regno Unito, Germania, USA). Si analizzano regioni a forte tasso di sviluppo socio - economico, all’interno delle quali nascono i primi agglomerati industriali e urbani, grazie all’introduzione dei macchinari e alla maggiore richiesta di forza lavoro. Ci si muove all’interno di un periodo storico in cui l’economia produce forti impatti sul territorio (di carattere morfologico, economico, sociale, ambientale), rimodellandolo. Si assiste alla transizione da un
fra il costo della manodopera e il fatturato complessivo. Il coefficiente del lavoro è dato dal rapporto del costo del lavoro per unità prodotta e il peso localizzatore. Esprimendo unitariamente il peso localizzatore, il coefficiente del lavoro indica il costo per tonnellata prodotta e il dato é pertanto comparabile. Data la struttura degli indicatori si intuisce come al crescere dell'indice del costo del lavoro aumenti l'influenza che questo fattore esercita sulla localizzazione, mentre a mano a mano che aumenta l'incidenza dei materiali l'ubicazione viene attratta dal luogo di estrazione. Il meccanismo che consente l'esatta individuazione del sito dove ubicare l'impresa é basato anche in questo caso sulle isodapane (luogo dei punti con un identico incremento nei costi di trasporto): in particolare l'isodapana critica rappresenta il luogo dei punti nei quali l'incremento dei costi di trasporto dal punto di ottimo uguaglia i risparmi nella manodopera. Ne consegue che l'isodapana critica é il confine oltre il quale l'impresa non avrà convenienza a localizzarsi in quanto la somma algebrica fra aumento dei costi di produzione e risparmi sulla manodopera é positiva e tende ad aumentare. Indipendentemente dall'esistenza di altre ragioni (ad esempio le economie esterne) una spiegazione dell'inerzia era rappresentata dalla produttività del lavoro ; la manodopera in alcune regioni, certamente costava meno ma era caratterizzata da una produttività particolarmente bassa. La realtà weberiana nella quale queste industrie hanno palesato evidenti propensioni ad installarsi in prossimità delle aree metropolitane. Oggi la remunerazione della manodopera per territori contigui e per attività analoghe ha margini di oscillazione piuttosto contenuti. All'interno di uno stesso spazio nazionale intervengono norme che limitano i margini della discrezionalità contrattuale e che provvedono (per ogni comparto produttivo) alla fissazione dei minimi salariali validi su tutto il territorio dello Stato. Il costo del lavoro si rivela quindi notevolmente equilibrato anche se una parte di scarti retributivi si trasferisce su altri oneri. Notevolmente più accentuati risultano, infatti, i divari regionali dei costi del lavoro allorché oltre alle remunerazioni orarie o mensili si considerano anche i fattori non salariali. Pur essendo di difficile commisurazione questi ultimi contribuiscono ad innalzare i redditi reali o, parallelamente, ad aumentare i costi dell'impresa. Fra questi rientrano tutte quelle spese e quelle agevolazioni a carico (anche parziale) dell'impresa e a vantaggio dei lavoratori. A partire dagli anni 80 la manodopera è diventata fondamentale, tanto che attraverso nuovi indicatori è stato possibile capire dove localizzarsi per ottenere un maggiore profitto. Le zone che negli anni 80 erano maggiormente scelte in base alla manodopera erano i paesi dell’Europa Orientale, mentre oggi la meta preferita dagli industriale è la Cina, dove il costo della manodopera è bassissimo. Questa scelta ha fatto si che molti distretti sono andati in crisi, al fine di tagliare tutte le voci di costo possibili, danneggiando anche la qualità. Negli anni di Weber, i primi decenni dello scorso secolo, il costo della manodopera poteva variare in misura anche sensibile fra una regione e un'altra, in virtù delle diverse configurazioni che localmente assumevano la domanda e l'offerta di occupazione. Weber in conformità ai principi delle teorie economiche classiche presupponeva una certa (anche se non perfetta) mobilità nei fattori della produzione. I vincoli e le rigidità introdotte dai successivi sistemi normativi e sociali hanno contribuito al definitivo superamento della costruzione logica weberiana. Localizzazione e manodopera Aspetti quantitativi Un caso in cui la manodopera é in grado di esercitare un ruolo decisivo sulla scelta localizzativa si ha quando l'impianto da realizzare richiede grandi quantità di forza-lavoro. In questa ipotesi la scelta del sito é notevolmente vincolata, in quanto esso deve necessariamente venirsi a trovare all’interno di un grande bacino demografico. L'area interessata deve essere in grado di fornire braccia e cervelli in grandi quantità. Allo stesso tempo le sue dimensioni economiche devono essere tali da metterla al riparo dai contraccolpi che inevitabilmente originano dall'insediamento industriale. La costruzione di una grande industria é di per sé un fattore di squilibrio e quindi solo una regione già dotata di abbondanti riserve di manodopera é in grado di attutirne le conseguenze. L’imprenditore deve domandarsi di quanta manodopera ha bisogno, e questi lavoratori di quale livello dovranno essere. Ci sono territori che si caratterizzano storicamente di manodopera media-alta, mentre ci sono territori che hanno grande quantità di forza lavoro non eccellente. La scelta dell’imprenditore deve localizzarsi nei territori che hanno la manodopera di cui egli ha bisogno. La qualità della forza lavoro varia anche in base al panorama sociale, economico e culturale.
Quando una realtà territoriale si evolve con il tempo abbiamo una spirale evolutiva , la quale indica un territorio che sempre più si evolve, e le industrie evolute saranno sempre più interessate a localizzarsi in questo territorio. Esempio di questo è la Sylicon Valley, dove con il tempo le più innovative industrie, soprattutto tecnologiche, si sono localizzate con il tempo in questo territorio, arrivando ad evolversi sempre di più. Aspetti qualitativi Un ulteriore caso in cui la manodopera esercita capacità polarizzanti nei confronti della localizzazione di una impresa industriale è rappresentato dalla specializzazione. Sono molte le attività secondarie che richiedono manodopera dotata di particolari livelli di qualifica professionale e in assenza di queste competenze la produzione subisce vistosi cali nelle caratteristiche qualitative. La distribuzione territoriale delle capacità e delle attitudini della forza lavoro è notevolmente disomogenea, in quanto è il risultato di un processo storico - culturale. Pertanto l'imprenditore che richieda particolari capacità e addestramento da parte della forza-lavoro può seguire due strade: la prima è quella di localizzare gli impianti non tenendo conto delle particolari esigenze di addestramento degli operai, confidando quindi sulla mobilità del fattore lavoro; mentre la seconda è quella di costruire le officine in quelle località ove la manodopera é disponibile. In genere, maggiori sono i livelli di professionalità richiesti e più elevata é la propensione ad ubicare sul lavoro la nuova impresa. Lo spazio geografico si distingue per la diversa qualifica professionale posseduta dalla popolazione attiva residente nelle varie regioni. Tali differenze di natura tipicamente qualitativa sono alla base di grandi squilibri territoriali e produttivi, in quanto originano fattori inerziali che una volta radicati sul territorio difficilmente potranno essere rimossi. Squilibri alimentati ad esempio dal fenomeno della nuova imprenditoria, dovuta al fatto che i dipendenti più capaci e dotati di spirito imprenditoriale maturano rapidamente in un ambiente particolarmente positivo e ben presto abbandonano le imprese per divenire, a loro volta, imprenditori o lavoratori in proprio. Questi meccanismi sono attivi in presenza delle grandi categorie economiche e, in questo senso, una regione industrializzata tende, per le forze endogene e per il saldo favorevole fra i flussi centripeti e quelli centrifughi della popolazione attiva, ad incrementare lo squilibrio esistente rispetto una regione arretrata. Tali squilibri sono maggiori e rappresentano fattori primari di insediamento in presenza di un tessuto industriale particolarmente specializzato. Aree di intensa specializzazione della manodopera sono presenti anche in Italia, come ad esempio la siderurgia nelle valli bresciane. La Divisione Internazionale del Lavoro Per Divisione Internazionale del Lavoro si intende quel processo di allocazione o riallocazione a scala mondiale di capacità produttive a seguito della presenza di grandi differenze nei potenziali demografici fra i vari paesi, differenze che si traducono in sensibili divari anche nelle retribuzioni della manodopera. Se all'interno di uno stesso Paese la remunerazione della forza-lavoro tende a livellarsi non altrettanto accade su scala internazionale. Nei paesi sovrappopolati il costo della manodopera é irrisorio, se confrontato con quello vigente nelle regioni più sviluppate del globo. La rivoluzione nelle tecniche del trasporto marittimo con l'introduzione del naviglio porta container di grande stazza, ha definitivamente abbattuto i costi unitari di trasporto e, di conseguenza, é risultata fortemente ridimensionata la distanza economica. Nuovi mercati, come ad esempio la Corea meridionale, l'isola di Taiwan, le Filippine, l'Indonesia e le città- stato di Hong Kong e Singapore sono così entrati nell'area economica delle unità produttive dei paesi del Nordamerica, dell'Europa Occidentale e, del Giappone. I risparmi nel costo del lavoro risultano superiori rispetto ai maggiori costi di trasporto, soprattutto se ad essere localizzati in queste regioni sono quegli impianti e quei settori nei quali il costo del lavoro entra in misura significativa nel costo finale del prodotto. In un primo momento si localizzano nei Paesi in Via di Sviluppo, le imprese che operano nei settori Labor-intensive, caratterizzate da una bassa incidenza tecnologica. Ma in pochi anni, con lo sviluppo di queste economie emergenti, si tende a trasferire attività sempre più evolute quali la produzione di hardware, la costruzione di autovetture, di apparecchiature fotografiche, televisive, e ottiche. L'abbattimento dei costi di trasporto ha quindi favorito il diffondersi di un processo di "ubiquitarietizzazione" delle lavorazioni industriali (ossia la possibilità di localizzare un nuovo impianto laddove sono più favorevoli le condizioni produttive, essendo marginale o quasi l'onere aggiuntivo per il trasporto); ha favorito la crescita di alcuni paesi a ritardo
quantità di materia prima ma allo stesso tempo producono grandi quantità di prodotti con tecniche per l’epoca avanzata. Christaller non nega l’importanza di quanto affermato da Weber ma questa logica passa in secondo piano. Il bravo imprenditore è colui che punto a vendere la maggiore quantità di prodotto. In questa fase storica produttore e venditore coincidono. Christaller ci dice, l’imprenditore puntando alla massimizzazione dei prodotti, l’obbiettivo dell’imprenditore deve diventare la massima produzione a patto che si riesca a vendere tutto ciò che si produce. La città di Christaller è quindi il luogo di produzione dei servizi. Chi li vuole acquistare dovrà recarsi nella città, percorrendo distanze più o meno ampie. Ne segue che ogni punto di offerta di un servizio avrà la sua area di mercato, determinabile tramite i concetti di soglia e portata di un servizio. In questi anni fondamentale è la figura Taylor ci dici che i costi per unità prodotti non sono costanti, dove ogni unità in più costa meno rispetto a quella precedente. L’economia del tempo è economia a costi marginali decrescenti , ogni unità prodotto in più costa meno dell’ultima prodotto. Egli parla di ECONOMIE ESTERNE, produzione a costi marginali decrescenti. Sotto consiglio di Taylor, l’imprenditore di automobili Ford decide di attuare il sistema delle catene di montaggio. In questo sistema si hanno stazioni di lavoro in cui viene svolta una singola operazione del montaggio, invece di avere un numero di operai intorno al prodotto. L’autovettura si sposta da una stazione di lavoro, specializzata in una singola lavorazioni. Il risultato finale è ottimizzazione della produzione, perché ogni prodotto in più che viene prodotto con questo sistema costa meno, in quanto riesco a spalmare i costi su una produzione maggiore. Per avere un successo economico bisogna vendere il prodotto. Il problema dell’imprenditore diventa dunque la localizzazione della area di mercato giusta, dove poter vendere i propri prodotti. È importante localizzarsi sui mercati, luogo in cui posso trovare persone intenzionate ad acquistare i miei prodotti. Si punta quindi ha localizzarsi nella grande città o aree densamente popolate perché maggiore possibile domanda. L’imprenditore deve localizzarsi dove la domanda può risultare più vantaggiosa. Riflessioni di Christaller:
conseguenza tra localizzazione industriale ed equilibrio economico generale. Secondo l'economista tedesco il luogo dove un'impresa industriale decide di ubicarsi non dipende soltanto dai costi di trasporto o dalla disponibilità di alcuni fattori della produzione a buon mercato, ma piuttosto dalla localizzazione degli altri produttori e dall'ampiezza delle rispettive aree di mercato. L'imprenditore nell'individuare il punto ideale dove edificare gli impianti, quindi punta non tanto alla minimizzazione dei costi, quanto alla massimizzazione dei profitti. Secondo questa nuova impostazione il minimo trasportazionale e massimo profitto possono non coincidere. Il nuovo obiettivo diviene vendere la massima quantità possibile di prodotto. Anche Lösch, come Weber, ipotizza una regione pianeggiante, uniformemente percorribile in ogni sua direzione e le cui risorse sono, a loro volta, equamente presenti in tutte le compagini territoriali. All’interno della regione non sono presenti forme di squilibrio economico, politico o geografico. Le eventuali differenze spaziali sono la risultante delle forze economiche. Lösch afferma che la dimensione dell’area di mercato di un bene è ovviamente in funzione della domanda dello stesso sul territorio e la domanda, a sua volta, è inversamente proporzionale alla distanza tra luogo di vendita del bene e luogo di consumo. LA PRODUZIONE DELL’INNOVAZIONE Uno dei teorici che più ha contribuito in ordine cronologico alle teorie sull’innovazione, è Schumpeter (1939), il quale sistematizzò il processo di produzione dell’innovazione ed introdusse la distinzione tra diversi tipi di innovazione. Secondo Schumpeter parlando di innovazione ci si riferisce ad un’ampia gamma di possibilità che riguardano: 1 L’innovazione di prodotto, ovvero l’introduzione di un nuovo prodotto o una sua nuova versione sul mercato. 2 L’innovazione di processo, ovvero l’introduzione, a partire da una nuova scoperta scientifica, di una nuova tecnologia, ottenendo prodotti già presenti sul mercato 3 L’innovazione organizzativa dell’impresa, ovvero l’introduzione di nuove e più efficienti modalità organizzative e gestionali all’interno della singola impresa. 4 L’innovazione organizzativa dell’industria, legata all’introduzione di innovazioni organizzative all’interno dell’intero settore, come ad esempio la creazione o la rottura di una posizione di monopolio. L’innovazione si compone di 3 fasi successive:
potenziale innovativo regionale che assumerà caratteristiche specifiche a seconda dei contesti in cui operano le imprese e delle modalità di interazione reciproca. Teoria del ciclo di vita del prodotto La vita di un nuovo prodotto segue una curva logistica scindibile in stadi distinti, denominata ciclo di vita del prodotto. Trasposto sullo spazio, il ciclo di vita del prodotto spiega la divisione spaziale del lavoro: muovendo dall’organizzazione d’impresa e dal contenuto innovativo del prodotto immesso sul mercato, si ipotizzano i rapporti (casuali) tra processo innovativo e strutturazione dello spazio economico. Ogni prodotto abbia un ciclo di vita schematizzabile in cinque fasi distinte:
L’innovazione tecnologica permette di ridurre i costi e i tempi del trasporto. Questo sviluppo ha reso le distanze minime. Lo sviluppo tecnologico ha coinvolto anche le telecomunicazioni. La recezione delle informazioni è molto più fluente lo sviluppo tecnologico ha reso tutto più facile. Questo ha comportato un avvicinamento di culture, l’innovazione è in grado di ridurre le distanze culturali. L’evoluzione delle multinazionali fu segnata in particolare dal processo di internalizzazione delle funzioni, orientato essenzialmente alla diminuzione dell’incertezza. A partire dagli anni ’70 prese avvio la terza generazione di multinazionali, il cui flusso di Investimenti Diretti Esteri (IDE) nell’arco di un decennio cresceva mediamente del 15% annuo, cioè ad un tasso di crescita tre volte superiore a quello registrato nei due decenni precedenti. Ciò ha determinato il decentramento della produzione , alimentato specificamente dall’abbattimento dei costi di trasporto e dal miglioramento dei sistemi di comunicazione (dunque della riduzione della distanza fisica ed economica), fattore che rese le imprese virtualmente indipendenti rispetto ai vincoli esercitati dalla distanza. A ciò si aggiunse l’omogeneizzazione dei mercati, per cui i medesimi prodotti cominciarono ad essere venduti su scala internazionale. Ciò fu favorito ulteriormente dall’abbattimento delle barriere commerciali. Le multinazionali di terza generazione, in pratica, optarono per strategie internazionali volte non solo a realizzare elevati volumi di produzione a basso costo, ma anche il controllo della commercializzazione e lo sviluppo delle tecnologie. Il decentramento della produzione in particolare seguì una logica di tipo funzionale , nel senso che furono delocalizzate le attività più semplici e standardizzate del ciclo di produzione, per la cui esecuzione occorreva una manodopera scarsamente qualificata ed a buon mercato. Dividendo la filiera produttiva in stazioni di lavoro, la produttività aumenta. Gli imprenditori grazie a questo fenomeno si rendono conto che hanno la possibilità di localizzare le varie produzioni nelle vari parti del mondo, dove è più conveniente realizzare una parte del prodotto. Invece di svolgere tutte le attività all’interno di un unico sito industriale, l’imprenditore decide di delocalizzare la produzione perché registra dei vantaggi economici enormi. Ad esempio in altre realtà territoriali possiamo avere un costa della vita inferiore, un costo della manodopera inferiore. A partire dagli anni ’70 la produzione si riorganizzò dunque alla luce di due principi: quello della specializzazione produttiva dei singoli impianti e quello della specializzazione geografica della produzione. Da un lato l’automazione e la razionalizzazione del ciclo di produzione consentirono una riorganizzazione in chiave multifunzionale; dall’altro l’abbattimento dei costi di trasporto determinò la riorganizzazione in chiave multilocalizzata dell’impresa. In base alla segmentazione dei fattori della localizzazione, si produsse una gerarchia localizzativa che rispecchiava la divisione delle funzioni all’interno dell’impresa. I forti progressi tecnologici nel settore dei trasporti negli anni ’50 hanno avuto come conseguenza l’abbattimento della distanza funzionale di trasporto. Questa è determinata da due fattori: il tempo di percorrenza ed il costo di percorrenza. Su entrambi agiscono vincoli tecnici, economici e naturali. L’abbattimento di tali vincoli, il cui risultato è stato una diminuzione dei costi e dei tempi di percorrenza, è da attribuirsi specificamente a tre processi: l’aumento delle infrastrutture, l’aumento di mezzi specializzati; la migliore organizzazione dei trasporti, grazie all’introduzione e alla diffusione del container. Questo ha consentito l’ unitizzazione dei carichi, e l’integrazione tra i mezzi di trasporto, grazie alla possibilità di trasferire il modulo di carico dalle navi agli autocarri fino agli aerei a costi e tempi di carico/scarico decisamente ridotti rispetto al passato, e con un minore impiego di manodopera. A ciò si deve lo sviluppo del trasporto intermodale , in cui appunto i modi di trasporto sono integrati attraverso l’unitizzazione dei carichi. Accanto al trasporto intermodale a partire dagli anni ’50 si sviluppa il trasporto combinato, del quale una delle forme più diffuse è il sistema roll-on/roll-of, che consente di trasferire direttamente un mezzo di trasporto, con o senza motrice, su un altro per poi scaricarlo a destinazione. La Divisione Internazionale del Lavoro Le conseguenze spaziali della rivoluzione dei trasporti consistono in un’intensificazione ed espansione delle relazioni spaziali della produzione su scala internazionale. In particolare, gli effetti dell’abbattimento della distanza funzionale di trasporto hanno cambiato l’organizzazione spaziale della produzione della grande impresa: l’abbattimento dei costi di trasporto ha consentito all’impresa di perseguire le medesime strategie di internalizzazione delle economie di scala e di varietà, ma su una scala geografica più ampia. Le economie sono state perseguite deverticalizzando il processo produttivo e localizzando altrove le diverse fasi della
produzione. Si sviluppa la DIVISIONE INTERNAZIONE del LAVORO (DIL), la quale dice che le multinazionali distribuiranno le loro produzione in base ai territorio dove registreranno dei vantaggi economici. In particolare le parti più semplici e standardizzate del processo sono le prime ad essere decentrate, nella ricerca di manodopera a buon mercato, mentre quelle più qualificate rimangono nelle localizzazioni originali. E’ l’avvio del processo di divisione spaziale del lavoro , ovvero si ha la proiezione nello spazio della divisione funzionale interna alle grandi imprese. Ed è anche l’avvio della segmentazione dei fattori localizzativi , per cui l’impresa non si muove più come un tutt’uno alla ricerca di un punto di ottima localizzazione. Gli imprenditori sono improntati a scegliere il territorio più adatto per la lavorazione a livello economico. In questa fase di internazionalizzazione coinvolge non più 12-14 paesi, ovvero i proprietari delle multinazionali sono presente solo nei paesi in cui le condizioni socio-economiche possono garantire garanzie agli imprenditori. Divisione internazionale del lavoro sempre più accentuata o alcune volte viene chiamata divisione geografica del lavoro, perché riguarda solo alcune aree geografiche. Fondamentale è la delocalizzazione della produzione nei paesi asiatici soprattutto in ambito tecnologico, produzione di singoli parti che venivano assemblate nei paesi di origine della multinazionale. Riescono ad ottenere dei vantaggi economici importanti. Questi paesi si definiscono le tigri asiatiche perché sono riusciti ad apprendere dalle multinazionali europee per produrre autonomamente prodotti, a costi ottimi, infatti sono diventati i concorrenti delle multinazionali. Questo fenomeno parte in piccolo per poi svilupparsi in territori sempre più lontani per un fattore economico. I paesi ospitati rispetto alla multinazionale siano sottomessi rispetto al paese che sta investendo, per questo si può parlare di geo politica, ovvero tramite gli investimenti il paese dominante conquista l’economia dei paesi sottomessi. L’imprenditore fa una scelta per i propri interessi economici. Questo percorso arriva fino a metà anni 90 in maniera crescente ma soprattutto costante a livello di paesi. Si sviluppa la Nuova Distribuzione del Lavoro, che a differenza della prima, la quale si basava sui differenziali internazionali nella dotazione di materie prime e beni; essa è diretta conseguenza dell’egemonia dei Paesi industrializzati sulla periferia del mondo, fornitrice di manodopera a basso costo. GLOBALIZZAZIONE E LOCALIZZAZIONE Territori esclusi dalle logiche delle multinazionali diventano degni dell’attenzione delle multinazionali. La presenza di una multinazionale ha un grande impatto sul territorio, produrre dei forti cambiamenti. Cambiamenti di stile di vita, comincia ad essere un fenomeno capace di incidere sulla comunità locale. La comunità locale si avvicina alla cultura di chi investe nel territorio. Agli inizi degli anni 2000 il potere di questi gruppi di multinazionali era diventato talmente forte, da non essere più controllabile dai governi, perché presente in 40-50 territori deboli, perché facilmente gestibile. Questi paesi si sono avvicinati alla cultura dell’investitore, territori che in maniera spontanea si sono standardizzati ai paesi investitori, ovvero 6-7 paesi. Il risultato è che questi pochi paesi stanno controllando il globo. Processo di globalizzazione che cambia gli equilibri, mettendo a rischio l’esistenza di popoli, culture, accordi geopolitici ecc. Il termine globale indica i fenomeni o quelle relazioni che si estendono nell’intera superfici del pianeta, come la circolazione atmosferica, il commercio del petrolio ecc. All’opposto si intende a definire locali quei fenomeni che interessano solo una parte della superficie terrestre, indicando porzioni diversi di territorio, come città, regione o continente. In senso stretto un fenomeno è locale quando deriva da elementi presenti in quel luogo: si parla quindi di clima locale, produzioni locali. Un tempo i circuiti della produzione e degli scambi si limitavano principalmente ad una scala locale, lasciando la scala sovralocale solo ad alcuni beni rari, fortemente ubicati, quali ad esempio, nel medioevo, l’avorio, le spezie e i metalli preziosi. Con l’età moderna, con la conquista dell’intero pianeta da parte degli europei, si diffusero sempre più gli scambi a scala planetaria. Si assiste ad una crescita del volume degli scambi sia in termini quantitativi che qualitativi (materie prime e prodotti finiti). Tra la fine del XIX secolo e la metà del XX secolo mercati ed economia sono certamente, almeno in parte, mondializzati. La Globalizzazione è fenomeno nuovo perché negli ultimi anni questi rapporti e flussi planetari che si sono estesi ed intensificati al punto da sopravanzare ogni confine, culturale e politico. Le realtà locali non sono al riparo da quelle globali. È impossibile controllare la posta con l’esterno.
Joint ventures e accordi di cooperazione: imprese autonome decidono di collaborare in specifiche iniziative produttive (sperimentazione e sviluppo tecnologico, ma anche commercializzazione), svolgendo ognuna una funzione specifica all’interno del progetto. Alleanze strategiche: sono la novità più diffusa e radicale rispetto al comportamento delle multinazionali del passato. Imprese radicate in aree diverse, operanti nel medesimo settore, decidono di collaborare, alla ricerca di vantaggi competitivi, restando comunque ognuna all’interno del proprio. Si ha così un’impresa multinazionale sempre più flessibile e libera di muoversi tra i diversi continenti che, perseguendo ovviamente l’obiettivo della riduzione dei costi (di produzione, di approvvigionamento della materia prima, dei semilavorati e della tecnologia), scompone in molteplici fasi il suo ciclo produttivo, distribuendole tra altrettanti Paesi. Nasce l’Impresa Globale , l’ultimo stadio dell’attuale sistema industriale. Si tratta di imprese altamente flessibili, complesse, difficili da gestire. Al loro interno, in base al mercato di destinazione, si lavora contemporaneamente su produzioni standardizzate, di massa, e su produzioni di nicchia. Alcune unità locali si specializzeranno sulle prime, altre sulle seconde, altre ancora lavoreranno su entrambe. La produzione dipenderà allora: dai differenziali di costo, dalla scelta di penetrare nuovi mercati, dal tentativo di avvicinarsi a regioni a forte vocazione tecnologica, dall’assenza di leggi vincolanti in tema di inquinamento ambientale. A partire dagli anni ’80 si è verificato il fenomeno della nascita della fornitura internazionale : alcune imprese, appartenenti a gruppi o autonome, si sono specializzate nella produzione di materie prime. o di semilavorati, diventando fornitori delle stesse in ogni parte del mondo. Si pensi ad esempio alle componenti elettroniche provenienti da Taiwan, Singapore, Hong Kong, o ancora alle parti di autovetture prodotte in Corea, India e Thailandia, e all’orologeria proveniente dalle Mauritius.
Internazionalizzazione e globalizzazione dell’economia In un’epoca di globalizzazione diviene sempre più elevata la qualità media dei prodotti richiesti, anche da parte di economie in ritardo. Questo deriva dalla diffusione dell’informazione, dall’incremento del reddito medio e dall’abbattimento delle frontiere commerciali. Differenze tra Internazionalizzazione e Globalizzazione:
imprese appartenenti alla medesima filiera produttiva tendono a localizzarsi le une in prossimità delle altre, formando una concentrazione geografica delle attività. Già nella prima metà del Novecento Marshall ci presenta queste realtà territoriali, comprese da diverse organizzazioni: come istituzioni, università, che si aggregano tra loro. Grazie a nuovi strumenti e nuove correnti di pensiero anche la geografia economica si è evoluta con il passaggio a quella che viene definita la “ nuova geografia economica ” (Krugman, 1991, modello centro – periferia). Obiettivo di questa nuova corrente di pensiero è spiegare le divergenze nei percorsi di sviluppo regionale partendo da un dato di fatto: se esistono economie di scala sufficientemente forti il produttore ha vantaggio a servire i clienti da un’unica località (sito); se i costi di trasporto continuano ad essere significativi il produttore si localizzerà in quel luogo che gli permetterà di raggiungere il maggior bacino di utenza con i minori costi di trasporto. Una regione che ospita numerose imprese e quindi numerosi consumatori (e quindi è un mercato di sbocco) necessariamente offre altrettanti vantaggi localizzativi al nuovo imprenditore ed è destinata a crescere ulteriormente a scapito di altre, in ritardo. In tale contesto, data la mobilità dei fattori produttivi, le regioni periferiche vengono private sia dei capitali che della manodopera, che trovano, ovviamente, una maggiore remunerazione nelle regioni maggiormente sviluppate. Le regioni periferiche, non producendo, sono costrette ad acquistare i prodotti dalle regioni forti (definite centrali), provocando un sistema di dominio del centro verso la periferia (Modello Centro – Periferia). Sviluppo e sottosviluppo regionale sono quindi fenomeni cumulativi. Nel 1998 Michael Porter riflettendo su modelli e teorie di chi lo ha preceduto formula un interessante percorso per leggere e interpretare le dinamiche economiche territoriali: il Cluster. È un insieme di imprese e istituzioni geograficamente prossime ed economicamente coese. L’interconnessione economica è leggibile attraverso i rapporti verticali (tra impresa e clienti) e orizzontali (tra imprese complementari e concorrenti). Devono quindi esistere più imprese interconnesse, indipendentemente dalla loro dimensione e dal settore d’azione. Secondo Porter le imprese di un cluster diventano più competitive grazie alla disponibilità in loco di fattori produttivi qualificati (ad esempio forza lavoro specializzata), di fornitori di beni intermedi, di concorrenti che spingono l’intero settore alla ricerca di economie di scala (puntando all’innovazione mantenendo comunque elevati gli standard di qualità), di istituzioni pronte ad offrire servizi e infrastrutture di livello elevato e a collaborare con gli imprenditori locali. Elemento fondamentale è la presenza di un clima socio - culturale favorevole all’imprenditorialità e di una reciproca stima e fiducia tra operatori privati e amministrazioni pubbliche. La competitività di un cluster appare quindi un fenomeno dinamico; deriva dalla continua interazione tra imprese, istituzioni e ambiente locale, elementi modificabili in qualsiasi momento. Elementi dei distretti La nascita di un distretto richiede la compresenza di questi elementi: