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Storia Contemporanea : Dalla Grande Guerra ad oggi Sabbatucci - Vidotto
Typology: Study notes
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Storia Contemporanea : Dalla Grande Guerra ad oggi Sabbatucci - Vidotto
Capitolo 1 - LA PRIMA GUERRA MONDIALE E LA RIVOLUZIONE RUSSA:
1.1 Venti di guerra. L’Europa del 1914 vede l’emergere di nuove potenze, come il Giappone e gli Stati Uniti, lo sviluppo nella produzione industriale e l’estensione del diritto di voto. Non mancavano i conflitti sociali e le tensioni politiche internazionali:
1.2. Una reazione a catena. Il Casus belli: Il 28 giugno 1914, uno studente bosniaco, Gavrilo Princip, che faceva parte di un’organizzazione ultranazionalista → Mano Nera ,che si batteva affinché la Bosnia entrasse a far parte di una “Grande Serbia”, uccise l’erede al trono d’Austria, l’arciduca Francesco Ferdinando, e sua moglie, mentre si trovavano a Sarajevo, capitale della Bosnia. Questo bastò per suscitare la reazione del governo e dei dirigenti austriaci, che vollero rispondere con una lezione alla Serbia e alle sue ambizioni espansionistiche che minacciavano l’integrità dell’Impero.
L’Austria compì la prima mossa inviando, il 23 luglio , un ultimatum alla Serbia. Il secondo passo lo fece la Russia promettendo sostegno alla Serbia, sua principale alleata nei Balcani. Forte dell’appoggio russo, il governo serbo accettò solo in parte l’ultimatum, respingendo la clausola che prevedeva la partecipazione di funzionari austriaci alle indagini sui mandanti dell’attentato. L’Austria giudicò la risposta insufficiente e, il 28 luglio , dichiarò guerra alla Serbia. Il 31 luglio la Germania inviò un ultimatum alla Russia, intimandole l’immediata sospensione dei preparativi bellici, ma non ottenne risposta. Seguì a 24h di distanza, una dichiarazione di guerra. Il 1 Agosto, La Francia, legata alla Russia da un trattato di alleanza militare, mobilitò le forze armate. La Germania rispose con un nuovo ultimatum e una successiva dichiarazione di guerra alla Francia → 3 agosto. Fu la Germania quindi a far precipitare la situazione: La Germania soffriva da tempo di un complesso di accerchiamento, ritenendosi ingiustamente soffocata nelle sue ambizioni internazionali. La strategia dei generali tedeschi si basava infatti sulla rapidità e sulla sorpres a, non ammetteva la possibilità di lasciare l’iniziativa in mano agli avversari e costituiva dunque di per sé un fattore di accelerazione della crisi e un ostacolo al negoziato. Il piano di guerra elaborato ai primi del ’900 dall’allora capo di stato maggiore Alfred von Schlieffen , dando per scontata l’eventualità di una guerra su due fronti (l’alleanza franco-russa era operante dal 1894), prevedeva in primo luogo un massiccio attacco contro la Francia, che doveva esser messa fuori combattimento in poche settimane. Raggiunto questo obiettivo, il grosso delle forze sarebbe stato impiegato contro la Russia, la cui macchina militare era potenzialmente fortissima, ma lenta a mettersi in azione. Presupposto essenziale per la riuscita del “piano Schlieffen” era la rapidità dell’attacco alla Francia. A questo scopo era previsto che le truppe tedesche passassero attraverso il Belgio, nonostante la sua posizione di
Nell’ agosto 1914 , a guerra appena scoppiata, il governo presieduto da Antonio Salandra aveva dichiarato la neutralità dell’Italia. Questa decisione, giustificata col carattere difensivo della Triplice alleanza (l’Austria non era stata attaccata, né aveva consultato l’Italia prima di intraprendere l’azione contro la Serbia), aveva trovato concordi in un primo tempo tutte le principali forze politiche. Ma, una volta scartata l’ipotesi di un intervento a fianco degli Imperi centrali si cominciò a valutare l’eventualità di una guerra contro l’Austria, che avrebbe consentito all’Italia di portare a compimento il processo risorgimentale, riunendo alla patria le terre irredente del Trentino e della Venezia Giulia, abitate da popolazioni italiane, ma ancora soggette all’Impero austro-ungarico. Sostenitori di questa linea interventista furono: i partiti di sinistra democratica - repubblicani, radicali, socialriformisti - sul principio di nazionalità ; le associazioni irredentiste, che volevano l’unità territoriale; i nazionalisti, che volevano fare dell’Italia una potenza imperialista; i gruppi liberal-conservatori, che temevano che una mancata partecipazione avrebbe compromesso la posizione internazionale dell’Italia e il prestigio della monarchia.
Mussolini, direttore del quotidiano del partito “Avanti” , che però si schierò a favore dell’intervento e fu espulso per questo dal Psi e fondò, nel novembre 1914, il quotidiano “Il Popolo d’Italia”, che divenne la voce principale dell’intervento.
Erano in maggioranza interventisti gli studenti, gli insegnanti, gli impiegati, i professionisti, ovvero la piccola e media borghesia colta, più sensibile ai valori patriottici. Il caso più tipico di interventisti, fu quello di Gabriele D’Annunzio che, noto fino ad allora come scrittore raffinato e come personaggio eccentrico, si improvvisò per l’occasione capopopolo ed ebbe un ruolo di rilievo nelle manifestazioni di piazza a favore dell’intervento.
Su una linea “neutralista”, invece, c’erano: i liberali, a cui faceva capo Giolitti, che era al Governo e non riteneva che l’Italia fosse preparata a una guerra ed era convinto che potesse ottenere dagli Imperi Centrali i territori rivendicati; il mondo cattolico; il Partito socialista (Psi), meno Mussolini; la confederazione generale del lavoro (Cgl), che condannava la guerra in nome degli ideali internazionalisti. I neutralisti, nonostante fossero in netta prevalenza, non costituirono uno schieramento omogeneo, capace di trasformarsi in alleanza politica; invece il fronte interventista era unito da un obiettivo comune, la guerra contro l’Austria, e l’avversione comune per la “dittatura” giolittiana; e inoltre solevano manifestare, nelle cosiddette “radiose giornate”.
A decidere l’esito tra interventisti e neutralisti furono il capo del governo Giolitti, il ministro degli Esteri e il re: neutralità.
Fin dall’autunno ’14 Salandra e Sonnino, mentre trattavano con gli Imperi centrali per strappare qualche compenso territoriale in cambio della neutralità, avevano stretto contatti segretissimi con l’Intesa. Infine decisero, col solo avallo del re, di accettare le proposte di Francia, Gran Bretagna e Russia firmando, il 26 aprile 1915, il patto di Londra****.
Le clausole principali prevedevano che l’Italia avrebbe ottenuto, in caso di vittoria, il Trentino, il Sud Tirolo fino al confine “naturale” del Brennero, la Venezia Giulia, l’intera penisola istriana e parte della Dalmazia e delle sue isole adriatiche.
Ai primi di maggio, Giolitti, non ancora al corrente del patto di Londra, si pronunciò per la continuazione delle trattative con l’Austria e ben 300 deputati gli manifestarono solidarietà, inducendo Salandra a rassegnare le dimissioni. Ma la volontà neutralista del Parlamento fu di fatto scavalcata: da un lato dalla decisione del re, che respinse le dimissioni di Salandra, mostrando così di approvarne l’operato; dall’altro dalle manifestazioni di piazza che in quei decisivi giorni di maggio le “radiose giornate , si fecero sempre più imponenti e più minacciose.
Il 20 maggio 1915 , costretta a scegliere fra l’adesione alla guerra e un voto contrario che sconfessasse il governo e lo stesso sovrano, aprendo così una crisi istituzionale, la Camera approvò, col voto contrario dei soli socialisti, la concessione dei pieni poteri al governo. L’Italia dichiarò guerra all’Austria e il 24 maggio 1915 cominciarono le operazioni militari
1.5 I fronti di guerra (1915-16).
L’intervento italiano non servì a decidere le sorti del conflitto. Le forze austro-ungariche si schierarono sulle posizioni difensive più favorevoli, lungo il corso dell’Isonzo e sulle alture del Carso. Contro le quali, le truppe comandate dal generale Luigi Cadorna sferrarono, nel corso del 1915, quattro sanguinose offensive (le prime quattro “battaglie dell’Isonzo”) senza cogliere alcun successo.
Il fronte italiano
Nel giugno 1916 furono gli austriaci a lanciare un attacco improvviso, chiamato “ Strafexpedition ”, ossia “spedizione punitiva” contro l’antico alleato ritenuto colpevole di tradimento. L’offensiva fu arrestata con fatica. Salandra fu costretto alle dimissioni e sostituito da un governo di coalizione nazionale, presieduto dal conservatore Boselli.
Il fronte francese
Una situazione analoga si era creata sul fronte francese. Anche qui gli schieramenti rimasero pressoché immobili per tutto il 1915. All’inizio del 1916 i tedeschi sferrarono un attacco in forze contro la piazzaforte francese di Verdun con lo scopo principale di logorare le forze nemiche. La battaglia, durata quattro mesi, risultò troppo costosa anche per gli attaccanti: complessivamente i due schieramenti registrarono oltre 600 mila perdite fra morti, feriti e prigionieri. E la carneficina, forse la più tremenda cui l’umanità avesse mai assistito in uno spazio geografico così limitato, proseguì nell’estate 1916, quando gli anglo-francesi lanciarono una controffensiva sul fiume Somme: qui, in sei mesi, il numero delle perdite arrivò a quasi un milione.
Il fronte orientale
In realtà, fra il 1915 e il 1916, i soli successi militari di qualche importanza furono conseguiti dagli Imperi centrali e i pochi spostamenti rilevanti del fronte si verificarono in Europa orientale. Nell’estate del ’15 una grande offensiva tedesca costrinse i russi ad abbandonare buona parte della Polonia. In autunno gli austriaci attaccarono la Serbia, che fu invasa e di fatto eliminata dal conflitto. Falliva intanto il tentativo degli anglo-francesi di alleggerire la pressione nemica sull’alleato russo portando la guerra sul territorio della Turchia, il più potente alleato degli Imperi centrali. Fra la primavera e l’estate del ’15 una spedizione navale britannica attaccò lo Stretto dei Dardanelli e riuscì a far sbarcare un contingente nella penisola di Gallipoli, sulle coste turche. Ma l’impresa, contrastata con efficacia, si risolse in un sanguinoso fallimento. Nel giugno del 1916, furono i russi a lanciare l’offensiva contro gli austriaci allora impegnati sul fronte italiano. I loro iniziali successi convinsero la Romania a intervenire a fianco dell’Intesa. Ma in ottobre gli austro-tedeschi contrattaccarono e la Romania subì la stessa sorte della Serbia, lasciando nelle mani dei nemici le sue risorse agricole e minerarie (grano e petrolio).
Questi risultati non bastarono a riequilibrare la situazione a favore degli Imperi centrali, che subivano le conseguenze del blocco navale attuato dai britannici nel Mare del Nord. Invano, nel maggio 1916, la flotta tedesca aveva tentato un attacco in prossimità della penisola dello Jutland. Le perdite subìte nella battaglia, per quanto inferiori a quelle degli avversari, furono tali da indurre i comandi tedeschi a ritirare le navi nei porti, rinunciando definitivamente allo scontro in campo aperto.
1.6 Guerra di trincea e nuove tecnologie.
Sul piano tecnico, la protagonista della guerra fu la trincea: la vita monotona che vi si svolgeva era interrotta solo da grandi e sanguinose offensive, prive di veri risultati. Da ciò scaturì nei soldati uno stato d’animo di rassegnazione e apatia che a volte sfociava in forme di insubordinazione. la paura e l’avversione alla guerra si tradussero in forme di rifiuto: renitenza alla leva alla diserzione o la pratica dell’autolesionismo, consistente nell’infliggersi volontariamente ferite e mutilazioni per essere dispensati dal servizio al fronte. Meno frequenti erano i casi di ribellione collettiva – “scioperi militari” o veri e propri ammutinamenti – che crebbero in numero e intensità col prolungarsi del conflitto. E fecero crescere in parallelo, nei governi e nei comandi
genocidio armeno, strettamente connesso alla guerra. Vennero uccisi in diversi modi: si ricorda la crudeltà e il diffuso tentativo di ucciderli bruciandoli vivi, specialmente dentro le chiese dove molti si erano rifugiati. Alcuni vennero strappati dagli orfanatrofi e affogati nell’Eufrate, altri vennero sottoposti a un caldissimo getto di vapore e immediatamente dopo vennero uccisi, le ragazze più grandi stuprate e uccise. 2000 bambini sopravvissuti furono condotti a Suvar e una parte di loro venne fatta saltare con la dinamite, altri cosparsi di cherosene e bruciati vivi. Oltre alla morte, i bambini videro i propri genitori umiliati, rapiti, percossi. Che ne avessero consapevolezza o meno, il loro futuro venne profondamente condizionato. La scoperta infantile della violenza passò anche attraverso l’incontro con i feriti, la visione degli effetti del conflitto, libri che parlavano di guerra, adulti che parlavano di guerra. La scoperta infantile della violenza passò anche attraverso il materializzarsi della guerra nell’incontro con i feriti, con la narrazione e la visione degli effetti del conflitto, lontane da ogni retorica eroica e dense di crudeltà e morte, sangue e dolore, paura e mutilazione.
La guerra produsse una serie di profonde e durature trasformazioni in tutti i paesi che vi furono coinvolti. I mutamenti più vistosi furono quelli che interessarono il mondo dell’economia e in particolare il settore industriale, chiamato ad alimentare la macchina gigantesca degli eserciti al fronte. Le industrie interessate alle forniture belliche (siderurgiche, meccaniche e chimiche in primo luogo) conobbero uno sviluppo imponente, al di fuori di qualsiasi legge di mercato.
Strettamente legate ai mutamenti nell’economia furono le trasformazioni degli apparati statali. Ovunque i governi furono investiti di nuove attribuzioni e dovettero farvi fronte con l’aumento della burocrazia. Ovunque il potere esecutivo si rafforzò a spese degli organismi rappresentativi. I poteri dei governi erano a loro volta insidiati dall’invadenza dei comandi militari, che avevano poteri pressoché assoluti per tutto ciò che riguardava la conduzione della guerra e potevano quindi influenzare pesantemente le scelte dei politici. Tutti i mezzi – compresa la censura e la sorveglianza sui cittadini sospetti di “disfattismo” – furono usati per combattere i “nemici interni” e per mobilitare la popolazione verso l’obiettivo della vittoria.
Strumento essenziale per la mobilitazione dei cittadini era la propaganda : una propaganda che non si rivolgeva soltanto alle truppe, ma cercava anche di raggiungere in tutti i modi possibili la popolazione civile. I governi di tutti i paesi profusero un impegno senza precedenti per stampare manifesti murali, organizzare manifestazioni di solidarietà ai combattenti, incoraggiare la nascita di comitati e associazioni “per la resistenza interna”.
A Zimmerwald e a Kienthal, in Svizzera, nel settembre 1915 e nell’aprile 1916 , si tennero due conferenze socialiste internazionali che si conclusero con l’approvazione di documenti in cui si chiedeva una pace “senza annessioni e senza indennità”. Col protrarsi del conflitto i gruppi contrari alla guerra si rafforzarono:fra di essi c’erano i bolscevichi russi, guidati da Lenin, che si erano staccati definitivamente dalla socialdemocrazia e costituiti fin dal 1912 in partito autonomo.
1.8 1917: l’anno della svolta.
Il 1917 fu l’anno della svolta. Due novità intervennero a mutare il corso della guerra: La rivoluzione russa e l’intervento degli Stati Uniti nella guerra.
L’intervento degli USA, pur facendo sentire il suo peso solo dopo parecchi mesi, sarebbe risultato decisivo sia sul piano militare sia su quello economico, tanto da compensare il gravissimo colpo subìto dall’Intesa con l’uscita di scena della Russia.
Intanto in Francia e Italia si fecero più frequenti episodi di insubordinazione. E delicata era anche la posizione dell’Impero austro- ungarico, dove prendevano forza le aspirazioni indipendentiste delle “nazionalità oppresse”, ovvero polacchi, cechi e slavi del Sud. Seguì un accordo fra serbi, croati e sloveni per la costituzione, a guerra finita, di uno Stato unitario: la futura Jugoslavia.
Per l’Italia fu un anno difficile. I comandi austro-ungarici approfittando della disponibilità di truppe provenienti dal fronte russo, inflissero un colpo decisivo all’Italia → La battaglia di Caporetto si svolse durante la Prima guerra mondiale e vide scontrarsi l’esercito italiano e quello dell’Austria-Ungheria e dei suoi alleati dell’Impero Germanico. L’Italia era entrata in guerra due anni prima, nel 1915, con l’obiettivo di tornare in possesso delle cosiddette “terre irredente” :cioè Trento e Trieste, all’epoca città di lingua italiana ma ancora sottoposte al governo dell’Austria-Ungheria. I principali luoghi di scontro furono le valli e le montagne dell’Altopiano di Asiago, nel Veneto settentrionale, e soprattutto dell’altopiano del Carso, al confine tra l’odierna Slovenia e il Friuli Venezia Giulia, lungo il fiume Isonzo. Per questo Caporetto è chiamata anche “Dodicesima battaglia dell’Isonzo”.
All’alba del 24 ottobre 1917 tonnellate di gas tossici e proiettili di artiglieria iniziarono a cadere sulle linee avanzate difese dall’esercito italiano, vicino al piccolo paese di Caporetto, oggi in Slovenia. Nelle ore immediatamente successive migliaia di soldati austriaci e tedeschi attaccarono nella breccia aperta nello schieramento italiano. Dopo una giornata di combattimenti, i generali italiani ordinarono alle loro truppe di ripiegare. Gli attaccanti avanzarono in profondità nel Friuli, mettendo in atto la nuova tattica dell’infiltrazione, che consisteva nel penetrare il più rapidamente possibile in territorio nemico senza preoccuparsi di consolidare le posizioni raggiunte, ma sfruttando invece la sorpresa per mettere in crisi lo schieramento avversario. La manovra fu così efficace che buona parte delle truppe italiane, per evitare di essere accerchiate, dovettero abbandonare precipitosamente le posizioni che tenevano dall’inizio della guerra. La ritirata si sarebbe fermata soltanto quattro settimane dopo, sulla famosa linea del Piave. Quarantamila soldati italiani furono uccisi o feriti e altri 365 mila furono fatti prigionieri. Un secolo dopo, la battaglia è considerata una delle più grandi disfatte inflitte all’esercito italiano, tanto che il suo nome è diventato sinonimo di “sconfitta” nel linguaggio comune.
Prima di essere rimosso dal comando supremo, il generale Cadorna gettò le colpe della disfatta sui suoi stessi soldati, accusandoli di essersi arresi senza combattere. In realtà la rottura del fronte era stata determinata dagli errori dei comandi, che si erano lasciati cogliere impreparati dall’attacco sull’alto Isonzo. Paradossalmente questa disfatta ebbe ripercussioni positive sul corso della guerra italiana. I soldati si trovarono inoltre a combattere una guerra difensiva, contro un nemico che occupava una parte del territorio nazionale: ciò contribuì a rendere più comprensibili gli scopi del conflitto e ad aumentare il senso di coesione patriottica, al fronte come nel paese. Fu costituito un nuovo governo di coalizione nazionale presieduto da Vittorio Emanuele Orlando e le forze politiche parvero trovare una maggiore concordia. Anche il cambio della guardia alla testa dell’esercito ebbe effetti positivi sul morale delle truppe : Armando Diaz , il nuovo capo di stato maggiore, si mostrò meno incline di Cadorna all’uso indiscriminato dei mezzi repressivi e più attento alle esigenze dei soldati, cui furono garantiti vitto più abbondante e licenze più frequenti.
Inoltre grazie a un’opera sistematica di propaganda, circolò l’idea di una guerra democratica
1.9 La rivoluzione russa: da febbraio a ottobre.
Fra tutti gli sconvolgimenti politici e sociali provocati dalla prima guerra mondiale, la rivoluzione russa il più imprevisto, almeno nei suoi sviluppi.
Nel marzo 1917 ci fu uno sciopero generale degli operai a Pietrogrado, che si trasformò in manifestazione politica contro il regime zarista: lo zar abdicò e venne arrestato con l’intera famiglia reale. Si formò un governo provvisorio, con l’obiettivo di continuare la guerra e di promuovere la modernizzazione del paese.
nuovo Stato proletario ispirato all’esperienza della Comune di Parigi, secondo un modello di autogoverno delineato da Lenin in una delle sue opere più famose Stato e rivoluzione. In quel saggio, scritto alla vigilia della rivoluzione d’ottobre, Lenin riprendeva la definizione di Marx sullo Stato come strumento del dominio di una classe sulle altre e prevedeva che, una volta scomparso questo dominio, lo Stato stesso si sarebbe avviato verso una rapida estinzione. Nella società socialista non vi sarebbe stato bisogno di Parlamenti e di magistratura, di eserciti e di burocrazia, ma le masse stesse si sarebbero autogovernate secondo i princìpi di democrazia diretta sperimentati nei soviet.
Il 5 dicembre il nuovo governo firmò l’armistizio che poneva fine alle ostilità. Seguì una trattativa con gli Imperi Centrali, che si concluse, il 3 marzo 1918 , con la firma della pace di Brest-Litovsk → Pace firmata il 3 marzo 1918, in Bielorussia, fra le potenze centrali e la Russia guidata dal governo rivoluzionario presieduto da Lenin, sanzionando l’uscita di quest’ultima dalla Prima guerra mondiale. Prevedeva durissime condizioni per la Russia, che perdeva circa un quarto dei territori europei. Questo aspetto suscitò un vivace dibattito nel partito e nel governo bolscevico, la cui conclusione fu determinata dalla decisa persa di posizione di Lenin. Fu annullata dal Trattato di Versailles (1919). La Russia rivoluzionaria dovette accettare tutte le durissime condizioni imposte da Germania e Austria-Ungheria, che comportavano la perdita di tutti i territori non russi dell’ex Impero (circa un quarto della sua parte europea), dove stavano nascendo nuovi Stati indipendenti.
Gravissime furono poi le conseguenze del trattato a livello dei rapporti internazionali: Le potenze dell’Intesa ancora impegnate sul fronte e preoccupate di un contagio rivoluzionario, considerarono la pace un tradimento e cominciarono ad appoggiare le forze antibolsceviche (nate sotto la guida di ex ufficiali zaristi) con contingenti. Ciò alimentò una guerra civile tra i “bianchi”, ovvero i monarchico-conservatori, e i rossi. Solo nel 1919 le potenze straniere cominciarono a ritirare le truppe. Nel frattempo il regime rivoluzionario accentuava i suoi aspetti autoritari:
● Nel 1917 creò la polizia politica : la Ceka; ● Istituì un Tribunale rivoluzionario centrale , col compito di processare chiunque disobbedisse al governo operaio e contadino; ● Nel giugno 1918 vennero messi fuori legge i partiti d’opposizione; ● Fu reintrodotta la pena di morte, che era stata abolita dopo la rivoluzione d’ottobre; ● Si procedeva nel contempo alla riorganizzazione dell’esercito, ricostituito ufficialmente nel febbraio ’18 col nuovo nome di Armata rossa degli operai e dei contadini. Artefice principale dell’operazione fu Trotzkij che, servendosi anche di ufficiali del vecchio esercito zarista, costruì una potente macchina da guerra, fondata su una ferrea disciplina. Ad assicurare la lealtà al governo rivoluzionario provvedevano figure di nuova istituzione, i commissari politici, distaccati dal partito presso le unità combattenti. Nasceva così un nuovo modello di Stato a partito unico dai tratti autoritari.
1.11 1918: la sconfitta degli Imperi centrali.
Nella fase finale della guerra, gli Stati dell’Intesa accentuarono il carattere ideologico dello scontro, presentandolo sempre più come una crociata della democrazia contro l’autoritarismo. Questa concezione della guerra trovò il suo interprete più autorevole nel presidente americano Woodrow Wilson che nel gennaio 1918 precisò le linee ispiratrici della sua politica in un programma di pace in 14 punti: i 14 punti di Wilson. Egli proponeva l’abolizione della diplomazia segreta, il ripristino della libertà di navigazione, la soppressione delle barriere doganali, la riduzione degli armamenti e l’istituzione di una nuovo organismo internazionale, e nell’ultimo punto si prospettava infine l’istituzione di un nuovo organismo internazionale la Società delle Nazioni , per assicurare il rispetto delle norme di convivenza fra i popoli.
Quindi, alla fine di luglio, ormai le forze dell’Intesa, superiori in uomini e mezzi, passarono al contrattacco. A giugno l’esercito tedesco era di nuovo sulla Marna e Parigi era sotto il tiro dei cannoni a lunga gittata. Sempre in giugno gli austriaci tentarono di sferrare il colpo decisivo sul fronte italiano attaccando in forze sul Piave e nella zona del Monte Grappa, ma furono respinti dopo una settimana di furiosi combattimenti. Alla fine di luglio le forze dell’Intesa, ormai superiori in uomini e mezzi grazie al massiccio apporto degli Stati Uniti,
passarono al contrattacco. Fra l’8 e l’11 agosto , nella grande battaglia di Amiens , i tedeschi subirono la prima grave sconfitta sul fronte occidentale. Da quel momento cominciarono ad arretrare lentamente.
I generali tedeschi capirono allora di aver perso la guerra. Il compito ingrato di aprire le trattative toccò a un nuovo governo di coalizione democratica formatosi ai primi di ottobre con la partecipazione dei socialdemocratici e dei cattolici del centro. Mentre la Germania cercava invano una soluzione di compromesso, i suoi alleati crollavano militarmente o si disgregavano dall’interno. La prima a cedere, alla fine di settembre, fu la Bulgaria. Un mese dopo era l’Impero turco a chiedere l’armistizio. Contemporaneamente, si consumava la crisi finale dell’Austria-Ungheria. Cecoslovacchi e slavi del Sud proclamarono l’indipendenza, mentre i soldati abbandonavano il fronte in numero sempre maggiore. Quando, il 24 ottobre, gli italiani lanciarono un’offensiva sul Piave, l’Impero era ormai in piena crisi. Sconfitti sul campo nella battaglia di Vittorio Veneto , gli austriaci il 3 novembre firmarono a Villa Giusti, presso Padova, l’armistizio con l’Italia che sarebbe entrato in vigore il giorno successivo, il 4 novembre 1918.
Intanto la situazione precipitava anche in Germania. Ai primi di novembre i marinai di Kiel, dov’era concentrato il grosso della flotta tedesca, si ammutinarono e diedero vita, assieme agli operai della città, a consigli rivoluzionari ispirati all’esempio russo. Il moto si propagò a Berlino e in Baviera e ad esso parteciparono i socialdemocratici. Il 9 novembre a Berlino un socialdemocratico, Friedrich Ebert , fu proclamato capo del governo, mentre Guglielmo II fuggiva in Olanda e veniva proclamata la Repubblica. L’11 novembre i delegati del governo provvisorio tedesco firmavano l’armistizio nel villaggio francese di Rethondes.
La Germania perdeva così una guerra che più degli altri aveva contribuito a far scoppiare e la perdeva per fame e per stanchezza, ma senza essere stata schiacciata sul piano militare e senza che il suo territorio fosse stato invaso da eserciti stranieri. La guerra si chiudeva non solo con un tragico bilancio di perdite umane (8 milioni e mezzo di morti, oltre 20 milioni di feriti gravi e mutilati), ma anche con un drastico ridimensionamento del peso politico dell’Europa sulla scena internazionale.
1.12 Vincitori e vinti.
Gennaio 1919, nella reggia di Versailles, si aprirono i lavori per la conferenza di pace. Vi parteciparono i rappresentanti di 32 paesi di tutto il mondo, tranne i paesi sconfitti, chiamati solo a ratificare le decisioni che li riguardavano. Le questioni più importanti, come il compito di ridisegnare la carta politica del Vecchio Continente, furono riservate ai cosiddetti “quattro grandi”, ovvero i capi del governo delle potenze vincitrici: Wilson (Usa), Clemenceau (Francia), Lloyd George (Gran Bretagna), e Orlando (Italia).
Quando si discussero le condizioni da imporre alla Germania si formarono due schieramenti:
La Francia non voleva accontentarsi dell’Alsazia e della Lorena ma voleva espandersi maggiormente. Ciò incontrò l’opposizione di Wilson e degli inglesi e la Francia dovette rinunciare al confine sul Reno, in cambio della promessa (che non sarebbe stata mantenuta) di una garanzia anglo-americana sulle nuove frontiere franco-tedesche. La Germania poté così limitare le amputazioni territoriali, ma subì, senza nemmeno poterle discutere, una serie di clausole che, se eseguite integralmente, sarebbero state sufficienti a cancellarla per molto tempo dal novero delle grandi potenze.
Il Trattato di Versailles, firmato il 28 giugno 1919 fu un’imposizione - un Diktat - subita dalla Germania sotto la minaccia dell’occupazione militare e del blocco economico. Era prevista, oltre alla restituzione alla Francia dell’Alsazia-Lorena, la cessione alla Polonia di Alta Slesia, la Posnania e il cosiddetto “corridoio polacco”, ovvero la striscia della Pomerania, che consentiva alla Polonia di accedere al porto di Danzica, città che veniva anch’essa tolta alla Germania e trasformata in “città libera”. La Germania veniva anche privata delle sue colonie in Africa e in Oceania, spartite tra Francia, Gran Bretagna e Giappone. In più ci furono anche delle
lasciata a una commissione alleata, e nel 1921 fu infine fissato in 132 milioni di marchi d’oro. Finì che il grosso non fu mai pagato. Fu inoltre costretta ad abolire il servizio di leva, a rinunciare alla marina da guerra, a ridurre la consistenza del proprio esercito entro il limite di 100 mila uomini e a lasciare “smilitarizzata” (priva cioè di reparti armati e di fortificazioni) l’intera valle del Reno, che sarebbe stata presidiata per quindici anni da truppe britanniche, francesi e belghe. Erano condizioni umilianti, tali da ferire profondamente l’orgoglio nazionale tedesco. Ma erano anche, agli occhi dei francesi, l’unico mezzo per impedire alla Germania di riprendere la sua posizione di grande potenza.
1.13 Il mito e la memoria
La prima guerra mondiale fu una grande produttrice di miti,innanzitutto per coloro che la combattevano. La condizione di disagio psicologico oltre che materiale, di sradicamento e spaesamento vissuta dalla maggior parte dei soldati portò molti di loro a sviluppare forme diverse di fuga dalla realtà e dunque a coltivare credenze irrazionali, ad accettare come vere notizie fantastiche, a immaginare apparizioni miracolose o eventi sovrannaturali.
Anche negli anni successivi alla fine del conflitto, la guerra continuò a lungo a essere oggetto di rappresentazione e di trasfigurazione mitica. Comune alla dimensione privata e a quella pubblica era il tentativo di elaborare il lutto, di trovare a posteriori giustificazioni ideali a tanta sofferenza, in nome del patriottismo e della difesa della nazione. Ne risultò spesso una visione idealizzata della guerra, che nel ricordo veniva depurata dei suoi orrori e delle sue crudeltà e rivissuta nella chiave dell’eroismo, del volontario martirio: una sorta di santificazione laica di coloro che erano caduti nell’adempimento del dovere.
Nuove erano le dimensioni delle celebrazione dei morti, proporzionate alla vastità del conflitto e al numero delle vittime. Nuova la partecipazione emotiva di massa e più esteso l’impegno delle autorità pubbliche nelle iniziative in ricordo dei caduti. Non solo furono eretti grandi mausolei nei luoghi dei combattimenti più sanguinosi, ma in moltissimi centri, compresi i piccoli comuni, sorsero monumenti ai caduti che celebravano il sacrificio dei soldati originari del luogo, i cui nomi erano elencati nel monumento stesso o in apposite targhe. Ai monumenti si aggiunsero parchi e viali “della rimembranza” (questo il nome che assunsero in Italia), luoghi di raccoglimento che dovevano ricordare i caduti e al tempo stesso suggerire l’idea di una continuità della vita, simboleggiata dagli alberi piantati nell’occasione.
Una forma nuova di celebrazione collettiva, fu quella del “milite ignoto”: la sepoltura solenne in uno spazio pubblico delle spoglie di un soldato anonimo, scelto in rappresentanza di tutti i combattenti morti e in particolare dei tanti di cui non era stato possibile nemmeno il riconoscimento. In tutti i paesi che la adottarono (cominciarono la Francia e la Gran Bretagna nel 1920, seguite un anno dopo anche dall’Italia, che scelse per la sepoltura l’Altare della patria, sul grande monumento a Vittorio Emanuele II), la celebrazione del milite ignoto fu seguita con grande emozione e partecipazione popolare.
Trattati di Pace :
● L'altro trattato particolarmente interessante per la situazione italiana fu il Trattato di Saint Germain 1919 : Intesa - Austria → dissoluzione impero austro-ungarico, fu un trattato durissimo e venne imposto un pesante indennizzo di guerra. L’Austria venne ridotta a un territorio piccolissimo con circa ¼ della popolazione risiedente nella capitale Vienna, ormai sproporzionata rispetto allo Stato. A trarre vantaggio dal crollo dell’Impero asburgico furono gli slavi che costituirono la Polonia, la Jugoslavia e la Cecoslovacchia (che comprende 3 milioni di tedeschi, detti sudeti). L’Italia annesse Tirolo, Trentino e parte della Dalmazia [D’Annunzio parlerà di vittoria mutilata perché non vennero assegnati all’Italia tutti i territori che le erano stati promessi]. Fu ribadita la proibizione di annessione dell'Austria alla Germania. Distruzione armamenti e riduzione dell’esercito. Per quanto riguarda la Russia, vennero favoriti i gruppi controrivoluzionari e vennero riconosciute e protette le nuove repubbliche indipendenti formatesi nei territori baltici: Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania. Si parlò di un cordone sanitario per bloccare ogni eventuale spinta evasiva della Repubblica socialista.
● Con il Trattato di Rapallo , firmato tra Italia e Jugoslavia nel novembre 1920 , la città diventò lo Stato libero di Fiume, cui una striscia di territorio assicurava il collegamento fisico con l’Italia. Ma Fiume restò una bandiera per il movimento fascista, che stava crescendo, e nel 1924 Benito Mussolini l’avrebbe annessa all’Italia. ● Trattato del Trianon 1920 : Intesa – Ungheria; clausole simili a Saint-Germain, gli unici a supportare l’Ungheria sono Italia e Germania; dopo il trattato l’Ungheria, che diventò una repubblica, si ritrovò ad avere 7 milioni di abitanti (prima erano 19 milioni) e la superfici e territoriale venne ridotta di 2/3. ● Trattato di Sèvres 1920 : Intesa - Impero ottomano; trattato duro pesanti indennizzi ecc... Frammentazione dell’Impero : fu ridotto a meno dell’attuale Turchia, Smirne viene assegnata ai Greci [che vengono poi allontanati nel 1922 in seguito alla guerra contro Mustafa Kemal (Presidente della Repubblica in seguito alla guerra d’indipendenza, non più sultanato)], confermato possesso Dodecaneso all’Italia e gran parte dell’Anatolia meridionale e centro-orientale sotto la sua influenza, nasce l’Armenia di Wilson (ex Caucaso ottomano), la Francia riceve il Libano e la Siria più alcune zone di influenza, il Regno Unito riceve Iraq, Transgiordania e la Palestina, referendum per decidere il destino del Kurdistan cui si dava la possibilità di ottenere indipendenza. [Nessuno sarà d’accordo sui confini decisi dalla Società delle Nazioni, si rivela uno stato zoppo e la Turchia è convinta che appartenga a loro; i turchi hanno paura dello smembramento del loro territorio.] Nel 1920 gli Stati Uniti propongono la creazione della Società delle Nazioni (pre-ONU) per assicurare il rispetto dei trattati e la salvaguardia della pace. Gli Stati Uniti però non vi parteciperanno, così come inizialmente saranno escluse le potenze sconfitte e la Russia; comunque non avrà fortuna perché priva di un'efficiente struttura decisionale e di un reale potere di dissuasione. [1921: costituzione Stato libero d’Irlanda] ● Trattato di Losanna 1923 : Trattato fatto perché in seguito a Sèvres i Turchi passano dal sultanato alla repubblica e rigettano il trattato precedente. Il trattato stabiliva il riconoscimento della Repubblica di Turchia, la Repubblica di Turchia accettava la perdita di vari territori: Cipro assegnata all’Impero britannico, la Tripolitania, la Cirenaica e il Dodecaneso riconosciuti come possedimenti dell’Italia, Tunisia e Marocco attribuiti alla Francia.
Capitolo 2 - L’EREDITÀ DELLA GRANDE GUERRA: 2.1 Le conseguenze economiche della guerra. Con la sola eccezione degli Stati Uniti, tutti i paesi belligeranti uscirono dalla prima guerra mondiale in condizioni di gravissimo dissesto. La guerra aveva inghiottito una quantità incredibile di risorse e per far fronte a queste enormi spese, i governi erano ricorsi dapprima all’aumento delle tasse. Macroscopiche furono le conseguenze sul piano economico. La situazione economica della Germania negli anni del dopoguerra era disastrosa. Il paese, dissanguato dalla guerra, faceva fatica a riprendersi, anche per il clima di totale insicurezza politica e per le pesanti condizioni che il trattato di pace (il "trattato di Versailles") aveva imposto alla Germania. Né le tasse né i prestiti erano stati comunque sufficienti a coprire le spese di guerra. Così i governi avevano stampato carta moneta in eccedenza, mettendo in moto un rapido processo inflazionistico. I prezzi crebbero molto e ci fu uno sconvolgimento nella distribuzione della ricchezza e nelle gerarchie sociali. Per non aggravare le tensioni, i governi dovettero mantenere per tempi lunghi il blocco sui prezzi dei generi di prima necessità e sui canoni d’affitto. L’industria europea riuscì a mantenere i livelli produttivi degli anni di guerra, ma questa espansione artificiale fu seguita, nel 1920-21, da una fase depressiva. La ripresa delle economie europee era frenata anche dal calo degli scambi internazionali. Gli Stati Uniti e il Giappone avevano aumentato le esportazioni, togliendo definitivamente la supremazia commerciale all’Europa. Grave era per la Gran Bretagna e la Francia la perdita di molti partner commerciali europei, economicamente stremati come la Germania, isolati come la Russia, o smembrati, come l’Impero austro-ungarico. Invece della libertà di scambi, auspicata nel programma di Wilson, si ebbe la ripresa di nazionalismo economico e di protezionismo doganale, da parte dei nuovi Stati che volevano sviluppare una propria industria.
2.2 I mutamenti sociali. I mutamenti economici del dopoguerra europeo si accompagnarono e si intrecciarono con un più ampio processo di trasformazione della società. L’espansione dell’industria bellica aveva spostato dalle campagne alle
fra poche nazioni etnicamente omogenee e i territori da esse occupati. Una condizione che poteva realizzarsi, con larga approssimazione, nei principali Stati dell’Europa occidentale (Francia, Spagna, la stessa Italia), ma era molto lontana dalla realtà etnico-linguistica della parte orientale del continente, dove popoli diversi erano abituati a convivere sullo stesso territorio e dove l’appartenenza a un gruppo nazionale non costituiva l’unico né sempre il principale riferimento politico. Negli antichi imperi la divisione etnica coincideva spesso con i confini di classe più che con quelli geografici: in ampie zone della Polonia, ad esempio, i signori erano per lo più polacchi o tedeschi, i contadini erano ucraini e polacchi, mentre gli ebrei, concentrati in insediamenti separati (shtetl), si dedicavano prevalentemente al commercio o alle professioni. Nell’Impero ottomano situazioni del genere erano la regola più che l’eccezione e i diversi gruppi etnico-religiosi potevano essere sottoposti a giurisdizioni diverse pur vivendo sulla stessa terra. Date queste premesse, l’applicazione del principio di nazionalità risultava difficile. Una volta elevato il principio nazionale a base di legittimazione degli Stati, quella che era una condizione generalmente accettata nei contesti multietnici divenne un problema da risolvere. La presenza di gruppi che parlavano lingue diverse, seguivano proprie tradizioni o professavano altre religioni rispetto alla maggioranza fu sentita come una minaccia dai membri di comunità nazionali che si volevano omogenee e coese. Paradossalmente, la liberazione dei popoli dalle dominazioni straniere poteva così dar luogo a nuove oppressioni o persecuzioni e scatenare nuovi conflitti a sfondo nazionale. La presenza di gruppi che seguivano proprie tradizioni fu sentita come una minaccia dai membri di comunità nazionali che si volevano omogenee. Si aprì così la strada alle soluzioni più drastiche; in alcuni casi si organizzarono scambi di popolazioni, in altri questi scambi si verificarono in forma cruenta come risultato di un conflitto. Si sarebbe giunti a quelle che oggi chiamiamo “pulizie etniche”, ovvero espulsioni di massa, e infine al caso estremo, lo sterminio.
2.4 Il “biennio rosso”: rivoluzione e controrivoluzione in Europa. Tra il 1918 e il 1920 il movimento operaio europeo fu protagonista di lotte operaie. I lavoratori organizzati dai sindacati diedero vita ad agitazioni che consentirono agli operai dell’industria di difendere o ottenere una riduzione dell’orario di lavoro a otto ore giornaliere a parità di salario. Ovunque si formarono consigli operai che scavalcavano le organizzazioni tradizionali dei lavoratori e che, sull’esempio dei soviet russi, si proponevano come organi di governo della futura società socialista. L’ondata rossa si manifestò nei singoli paesi in forme e con intensità diverse. Nelle due maggiori potenze vincitrici, Francia e Gran Bretagna,conservatori e moderati mantennero il controllo dei rispettivi Parlamenti e la pressione del movimento operaio fu contenuta senza eccessive difficoltà. Germania, Austria e Ungheria, dove le tensioni sociali si sommavano ai traumi della sconfitta e del cambiamento di regime, furono invece teatro di tentativi rivoluzionari, che furono però rapidamente stroncati. Ciò che era stato possibile in Russia non fu dunque possibile negli altri paesi europei, dove borghesia e capitalismo non erano stati prostrati ma piuttosto trasformati dalla guerra e dove lo stesso movimento operaio era legato a una ormai lunga esperienza di azione pacifica all’interno delle istituzioni
La rivoluzione d’ottobre aveva accentuato, all’interno del movimento operaio, la frattura fra le avanguardie rivoluzionarie e il resto del movimento legato ai partiti socialdemocratici. Già nel 1918 i bolscevichi avevano acquistato la denominazione di Partito comunista (bolscevico) della Russia. La scissione fu sancita ufficialmente, nel marzo 1919, con la costituzione a Monaco di una Internazionale comunista → Comintern o Terza Internazionale. La struttura e i compiti del Comintern furono fissati nel II congresso, che si tenne, sempre a Mosca, nel luglio del 1920. Fu lo stesso Lenin a fissare in un documento in 21 punti le condizioni da rispettare per poter essere ammessi al nuovo organismo: -i partiti aderenti al Comintern avrebbero dovuto ispirarsi al modello bolscevico,
Fra la fine del ’20 e l’inizio del ’21 fu comunque raggiunto l’obiettivo di creare in tutto il mondo una rete di partiti ricalcati sul modello bolscevico e fedeli alle direttive del partito-guida. Nessuna di queste formazioni riuscì però a conquistare il consenso maggioritario delle classi lavoratrici dei paesi più sviluppati. Fra il ‘20 e il ‘21 fu raggiunto l’obiettivo di creare in tutto il mondo una rete di partiti ricalcati sul modello bolscevico e fedeli alle direttive del partito-guida. In Germania il governo legale, presieduto da Ebert, era formato da esponenti socialdemocratici, compresi gli “indipendenti” dell’Uspd , la frazione di sinistra staccatasi dalla Spd ( “Partito socialdemocratico tedesco”) nel
Dal 1918 il governo bolscevico cercò di attuare una politica autoritaria, definita “comunismo di guerra”. Per risolvere il problema degli approvvigionamenti alle città, venne incoraggiata, senza successo, la formazione di comuni agricole volontarie, le cosiddette “fattorie collettive” (kolchozy), e le “fattorie sovietiche” (sovchozy) gestite direttamente dallo Stato o dai soviet locali. In campo industriale, invece, furono nazionalizzati tutti i settori più importanti, con lo scopo di centralizzare le decisioni. Il piano economico fu un fallimento : Le città erano spopolate per la disoccupazione e per la fame; inoltre nel 1921 una terribile carestia colpì le campagne della Russia e dell’Ucraina. Il dissenso cominciava a serpeggiare fra gli operai, delusi dalla gestione autoritaria dell’economia. Nel 1921 prendeva avvio una parziale liberalizzazione nella produzione e negli scambi. La nuova politica economica (Nep) aveva l’obiettivo principale di stimolare la produzione agricola e di favorire l’afflusso dei generi alimentari verso le città. Ai contadini si consentiva anche di vendere sul mercato le eventuali eccedenze, una volta consegnato agli organi statali una quota fissa dei raccolti. Lo Stato mantenne comunque il controllo delle banche e dei maggiori gruppi industriali. La Nep ebbe conseguenze benefiche, ma produsse effetti collaterali sociali non desiderati. Nelle campagne i nuovi spazi concessi all’iniziativa privata favorirono il riemergere del ceto dei contadini benestanti, i kulaki, nuova classe di affaristi. 2.8 L’Urss da Lenin a Stalin. Nel 1918 fu varata la prima Costituzione della Russia rivoluzionaria, in piena guerra civile, e si apriva con una dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore e sfruttato, dove si proclamava che il potere doveva “appartenere unicamente e interamente alle masse lavoratrici e ai loro autentici organismi rappresentativi : soviet”. La Costituzione collocava al vertice del potere il Congresso dei soviet, e prevedeva che il nuovo Stato avesse carattere federale, che rispettasse l’autonomia delle minoranze etniche e che si aprisse all’unione con altre future Repubbliche “sovietiche”, nella prospettiva di un’unica repubblica socialista mondiale. In realtà, quella che dal 1922 prese il nome di Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche → Urss, ovvero l’unione di Russia (compresa la Siberia) e le province dell’ex impero zarista, era priva di reali meccanismi federativi, in cui i russi erano la nazionalità dominante. La nuova Costituzione dell’Urss, approvata nel 1924 , prevedeva una struttura istituzionale, al cui vertice stava il Congresso dei soviet dell’Unione, ma il potere reale era nelle mani del Partito comunista dell’Unione Sovietica :il Pcus. Il Partito,in mano a un ristretto gruppo dirigente, era guidato da un segretario generale e aveva come organo fondamentale l’ufficio politico ( Politburo) del comitato centrale. Il partito era responsabile delle direttive che ispiravano l’azione del governo; controllava la polizia politica (la Ceka, poi denominata Gpu), che colpiva gli oppositori; proponeva i candidati alle elezioni dei soviet che avvenivano su lista unica e con voto palese. Di fatto deteneva tutto il potere e il suo apparato periferico e centrale si opponeva a quello dello Stato. I comunisti russi mirarono a cambiare la società e puntarono in due direzioni: l’alfabetizzazione di massa e la lotta contro la Chiesa ortodossa. Quindi ottennero l’elevazione dell’obbligo scolastico fino all’età di quindici anni, e fu privilegiata l’istruzione tecnica su quella umanistica. Si preoccuparono di formare ideologicamente le nuove generazioni incoraggiando l’iscrizioni all’organizzazione giovanile del partito, il Komsomol, e all’insegnamento della dottrina marxista.La lotta contro la Chiesa ortodossa assumeva invece valenza ideologica, in quanto incompatibile con i fondamenti materialisti della dottrina marxista. La scristianizzazione nel complesso riuscì. Nel 1920 venne legalizzato l’aborto, venne poi proclamata la parità assoluta fra i sessi. Il regime comunista favorì una liberalizzazione dei costumi. Parecchi intellettuali di prestigio emigrarono, ma i più si gettarono nell’esperienza rivoluzionaria. Tornando alla politica, le tendenze autoritarie si andarono consolidando con l’ascesa al vertice del Pcus di Stalin, che fu nominato segretario generale del partito nel 1922. Lenin morì nel 1924, e Da allora si aprì una lotta per la successione. Il primo scontro all’interno del gruppo dirigente ebbe per oggetto il problema della centralizzazione e della burocratizzazione del partito. A sostenere la necessità di limitare le prerogative dell’apparato fu Trotzkij, il più autorevole fra i capi bolscevichi, ma anche il più isolato rispetto agli altri leader, che appoggiarono la linea di Stalin. Trotzkij attribuiva l’involuzione autoritaria del partito all’isolamento internazionale dello Stato sovietico.
Stalin sosteneva che la vittoria del socialismo era “possibile anche in un solo paese”, e in questo modo otteneva anche i consensi del popolo, in quanto offriva al paese un potente richiamo patriottico. Sconfitto Trotzkij nel 1925, due dei capi bolscevichi si pronunciarono per un’interruzione dell’esperimento della Nep e per l’industrializzazione. La tesi opposta fu espressa da Bucharin, con l’appoggio di Stalin. I leader dell’opposizione furono espulsi dal partito nel 1927, e Trotzkij deportato ed espulso dall’Urss. Si concludeva così la prima fase della rivoluzione comunista.
Capitolo 3 - DOPOGUERRA E FASCISMO IN ITALIA: 3.1 Le tensioni del dopoguerra. Uscita vincitrice dalla guerra, l’Italia presentava un’economia dai tratti tipici della crisi postbellica: sviluppo abnorme di alcuni settori industriali, deficit del bilancio statale, e inflazione. L’esperienza del primo conflitto mondiale aveva alimentato il rifiuto della guerra, ma aveva generato anche una tendenza a risolvere le questioni controverse con atti di forza. Usciva dalla guerra una società attraversata da fratture, unita però da una febbre rivendicativa che tendeva a spostare il centro delle lotte dal Parlamento alle piazze. Nel 1919 le principali città italiane divennero teatro di violenti tumulti contro il caro-viveri, mentre le industrie erano investite da scioperi volti a ottenere aumenti salariali; c’erano anche le lotte dei lavoratori agricoli. L’aspirazione alla proprietà della terra fu all’origine di un altro movimento che si sviluppò nelle campagne, quello dei contadini poveri, spesso ex combattenti. L’Italia era uscita dalla guerra generalmente rafforzata: aveva ottenuto Trento, Trieste e le altre “terre irredente”, includendo il Sud Tirolo e parzialmente l’Istria. Ma il patto di Londra prevedeva anche l’annessione della Dalmazia, cosa che non avvenne a causa di nuovi problemi territoriali che sono sorti dopo la dissoluzione dell’Austro-Ungheria. D’altra parte però, durante la conferenza di Versailles, il presidente Orlando e Sonnino chiesero l’annessione di Fiume sulla base del principio di nazionalità, nonostante non fosse previsto dal patto di Londra. Tali richieste incontrarono l’opposizione degli alleati, in particolare gli Stati Uniti. Per protestare, Orlando e Sonnino abbandonarono Versailles, ma un mese dopo dovettero tornare a Parigi senza aver ottenuto alcun risultato. Questo segnò la fine del governo Orlando. Il nuovo ministero presieduto da Francesco Saverio Nitti si trovò a dover affrontare la situazione già gravemente deteriorata. Gli avvenimenti avevano suscitato un sentimento di ostilità verso gli ex alleati, accusati di voler defraudare l’Italia dei frutti della vittoria. Si parlò di “vittoria mutilata”, espressione coniata da Gabriele D’Annunzio. La manifestazione più clamorosa di questa protesta si ebbe nel 1919, quando alcuni reparti militari ribelli e gruppi volontari, sotto il comando di D’Annunzio, occuparono la città di Fiume, e ne proclamarono l’annessione all’Italia. Qui D’Annunzio istituì una provvisoria “reggenza”. 3.2 I partiti e le elezioni del 1919. In questa fase di crisi, la classe dirigente liberale si trovò contestata e isolata, e non si dimostrò in grado di dominare le manifestazioni di massa; finì col perdere l’egemonia, mentre risultarono favorite le forze socialiste e cattoliche. I cattolici nel 1919 diedero vita a una nuova formazione politica, che prese il nome di Partito popolare italiano (Ppi). Il nuovo Partito, che ebbe il suo primo segretario nel sacerdote siciliano Don Luigi Sturzo, si presentava con un nuovo programma politico di impostazione democratica, ma era in realtà strettamente legato alla Chiesa e alle sue strutture organizzative. Nonostante questi elementi contraddittori, la nascita del partito rappresentò una svolta in positivo per la democrazia italiana. Altra novità fu la crescita del Partito socialista, dove si registrava la prevalenza della corrente di sinistra, ora chiamata massimalista , su quella riformista. I massimalisti, che avevano il leader nel direttore dell’ “Avanti” , Serrati, si ponevano come obiettivo l’instaurazione della repubblica socialista fondata sulla dittatura del proletariato. Più che preparare la rivoluzione, la aspettavano. In polemica con questa impostazione, si formarono nel Psi, gruppi di estrema sinistra, per un più coerente impegno rivoluzionario. Fra questi gruppi emergevano quello napoletano, con a capo Bordiga, e quello di Torino, attorno a Gramsci e alla rivista “L’ordine Nuovo” e agli altri “ordinovisti” (meno rivoluzionari, ma comunque mobilitati), come Togliatti, Terracini e Tasca, affascinati dall’esperienza dei soviet, visti come strumenti di lotta contro l’ordine borghese.