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Gestione dei Disturbi del Comportamento nei Bambini, Summaries of Science education

Preziose indicazioni per gli insegnanti su come gestire i disturbi del comportamento nei bambini. Vengono affrontati diversi aspetti, come le caratteristiche tipiche di questi bambini, le possibili cause dei loro comportamenti problematici e le strategie più efficaci per intervenire. Particolare attenzione è dedicata alla necessità di mantenere la calma, evitare atteggiamenti punitivi o autoritari e promuovere invece un approccio empatico e di valorizzazione delle qualità positive dei bambini. Vengono inoltre suggeriti alcuni esercizi e attività da svolgere in classe per favorire l'autoregolazione emotiva e il rispetto delle regole. Comprendere a fondo le dinamiche sottostanti ai disturbi del comportamento e saper adottare le giuste strategie di gestione rappresenta una sfida cruciale per gli insegnanti, al fine di creare un ambiente scolastico sereno e inclusivo per tutti gli alunni.

Typology: Summaries

2022/2023

Uploaded on 05/31/2024

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raffaello-ruggeri 🇮🇳

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PIETRO MURATORI

Psicologo Clinico presso IRCCS Fondazione Stella Ma- ris, docente di Psicologia dell’Educazione e dell’Inclu- sione presso il Corso di laurea in Scienze della Forma- zione Primaria, Università di Pisa. È formatore italiano del metodo Coping Power, titolo conferito dal prof. John Lochman (University of Alabama) con cui colla- bora da molti anni.

MARINA PAPINI

Psicologa, specializzanda in psicoterapia cogniti- vo-comportamentale presso IPSICO. Perfezionata sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento, collabora da anni con l’IRCCS Fondazione Stella Maris in progetti di prevenzione a scuola.

Presentazione

in queste prime settimane di scuola, è notevolmente peggiorato nel comportamento. Quindi qualcuno sta sbagliando qualcosa? La scuola? Noi clini- ci? I genitori? Io non credo. Forse, in verità, il dolore che i bambini come Lorenzo cercano di cancellare distraendosi o mostrandosi forti è in realtà un sintomo onesto della loro fragilità. Per tutti i bambini è molto difficile non fuggire di fronte alle proprie fragilità: per riuscire a farlo hanno bisogno di coraggio e pazienza. Questo coraggio e questa pazienza sono difficili da trovare senza un adul- to che li accompagni, senza un adulto che li tenga per mano e che li guidi pazientemente. Qualsiasi indicazione contenuta in questo libro proviate ad applicare, fatelo con l’intenzione di sostenere i bambini nell’affrontare le proprie fragilità. Qualsiasi bambino che percepisca e venga toccato da questa vostra sincera intenzione tornerà a sperare di potercela fare, tornerà a credere nelle pro- prie capacità, tornerà a meravigliarsi di fronte alla vita.

Con il progetto Pluralità visibili, Erickson si impegna a pro- muovere una narrazione e rappresentazione equa delle dif- ferenze, che passa anche tramite l’utilizzo di un linguaggio inclusivo. Per una migliore fluidità di lettura e per garantire la piena accessibilità dei contenuti, nel testo si fa perlopiù ri- ferimento al genere maschile. Si specifica, in ogni caso, che le occorrenze al maschile universale sono sempre indirizzate indifferentemente a tutti i generi.

Con il termine «Disturbi del Comportamento» ci riferiamo alla condizione di bambini che mostrano comportamenti aggressivi, difficoltà a regolare le proprie emozioni e scarso rispetto delle re- gole date dagli insegnanti e dai genitori. Queste caratteristiche devono essere presenti quasi tutti i giorni per almeno 6 mesi e solitamente si presentano sia nell’am- biente familiare, sia nell’ambiente scolastico. Alcuni bambini sviluppano questa sintomatologia a causa di una mancata regolazione delle emozioni di base, spesso asso- ciata a marcate difficoltà nelle capacità attentive; altri tendono a mostrare le loro maggiori difficoltà nell’ambito del rispetto delle regole e sono caratterizzati anche da deficit nelle capacità empa- tiche. Il comportamento oppositivo è parte di una traiettoria di svi- luppo tipica poiché costituisce una delle espressioni della volontà di autonomia da parte del bambino. Nello sviluppo tipico il comportamento oppositivo ha quindi la funzione di ricercare l’autonomia e la propria identità: in questi casi il bambino si oppone alle regole perché le vede come una limitazione alla sua volontà di esplorare. Questo pattern comportamentale di solito tende a lasciare il posto a schemi di comportamento più controllati e maturi, asso- ciati a un insieme di norme che consente di destreggiarsi all’inter- no dei diversi contesti di vita. Quando ciò non avviene e questa tendenza all’ostilità diventa cronica compaiono anche difficoltà per quanto riguarda l’adatta- mento, le relazioni familiari e più tardi quelle sociali con il gruppo dei pari.

Introduzione

La prevalenza del DOP si attesta intorno al 4% della popola- zione in età di scuola primaria. Il disturbo sembra avere una pre- valenza maggiore nei maschi piuttosto che nelle femmine (4:1); alcuni autori sostengono che questa sia del 3-4% per i bambini e del 1-2% per le bambine. Sembra inoltre che le bambine manife- stino generalmente caratteristiche di oppositività rispetto ai bam- bini che, invece, sono più spesso visti come bambini aggressivi. Nella maggioranza dei casi i sintomi del DOP si manifestano durante la prima infanzia, raramente dopo l’adolescenza; spesso il DOP precede lo sviluppo di un Disturbo della Condotta (DC), anche se non tutti i bambini e gli adolescenti con DOP evolvono in questa direzione. Il DC è un grave disturbo del comportamento in cui i sintomi includono aggressioni a persone e/o animali, furti, inganni o distruzione di oggetti o proprietà. È riconosciuto che il passaggio da DOP a DC è tanto più probabile quanto la comparsa dei sintomi è precoce e che alcuni dei comportamenti-sintomo tendono ad aumentare, sia nella frequenza che nell’intensità, du- rante la scuola primaria. I fattori di rischio che la letteratura scientifica indica come alla base della eziologia del DOP sono diversi e di diversa natura.

Fattori temperamentali: sono caratteristiche costituzionali del bambino, parzialmente modulabili da parte dell’ambiente. Sa- rebbe esposto a un rischio maggiore un bambino con un tem- peramento con delle difficoltà nella regolazione delle emozioni di paura e tristezza; Fattori ambientali: come si è visto, il contesto familiare e il parenting giocano un ruolo importante, potendosi costituire come fattori di rischio, qualora inadeguati, e come fattori pro- tettivi, qualora adeguati. Si è osservato che abbastanza spesso, nelle famiglie di bambini con DOP, lo stile di parenting usa pra- tiche educative incoerenti, coercitive e/o rigide. Fattori genetici e fisiologici: a questo disturbo sono associati diversi marker genetici, che poi definiranno delle anomalie fun- zionali e/o strutturali del sistema nervoso dell’individuo. Alcuni di questi marker sono legati a scarse capacità attentive, mentre

Introduzione

altri indicano la difficoltà a sviluppare empatia e interesse verso gli altri. Si rilevano diverse condizioni in cui il DOP coesiste con un’al- tra entità diagnostica, prima tra tutte l’ADHD: infatti, in campio- ni di bambini, ragazzi e adulti con ADHD si evidenzia un elevato numero di soggetti con anche diagnosi di DOP, probabilmente a causa di fattori di rischio condivisi dalle due entità diagnostiche. Potremmo dire che circa un bambino con DOP su due ha anche un problema di attenzione. In questi casi il problema primario è il deficit di attenzione, che determina nel bambino una maggio- re difficoltà a soddisfare le richieste dell’ambiente e a rispettare i tempi dettati dagli adulti, siano questi legati all’apprendimento o al comportamento da tenere. Tali difficoltà lo espongono a nume- rose esperienze di frustrazione ed è proprio quella frustrazione la scintilla che accende il comportamento oppositivo e aggressivo. Un’ulteriore caratteristica che si osserva spesso nei bambini con difficoltà di attenzione e DOP è la scarsa autostima. Frustrazione dopo frustrazione, insuccesso dopo insuccesso, questi bambini si convincono che vi sia qualcosa di sbagliato in loro stessi e ciò può portarli a evitare e a opporsi a qualsiasi richiesta che arrivi dagli adulti. Ognuno di noi ha qualcosa che è convinto non imparerà mai a fare. Ora, provate a immaginare un attimo di trovarvi tutti i giorni in un contesto che vi chiede di fare proprio quella cosa; immagi- nate di trovarvi tutti i giorni accanto ad altri individui che riescono a fare quella cosa. Come vi sentireste? Non vi sentireste frustrati e tristi? La vostra autostima non peggiorerebbe di giorno in gior- no? Anche se forse la domanda più importante è: di cosa avreste bisogno? Una diversa caratteristica, spesso presente nei bambini con DOP, può essere la scarsa empatia verso gli altri e lo scarso senso di colpa e rimorso dopo aver commesso qualcosa di sbagliato. Ne- gli ultimi manuali di classificazione diagnostica vengono descritti come bambini con comportamenti oppositivi e aggressivi caratte-

Introduzione

ricette di chef stellati e impegnandosi anima e corpo alla prepara- zione di quel piatto — il risultato non è mai solo sotto il controllo del «cuoco». L’esperienza aiuta, così come in cucina, anche nella gestione del bambino difficile, ma non è garanzia di risultato. Se facciamo un lavoro che pone le proprie basi nelle relazioni umane, tutto è imprevedibile e molto dipende da fattori che sono al di fuori del nostro controllo: l’umore del bambino o eventi nella sua vita così come l’umore dell’adulto coinvolto nella relazione e gli eventi nella sua vita. Il mestiere dell’insegnante è ancora più complesso perché deve far fronte non solo all’imprevedibilità insita nelle relazioni con ciascuno dei bambini delle proprie classi ma anche con l’im- prevedibilità del contesto scuola. Per non parlare di tutti gli ac- cadimenti che negli ultimi anni sembrano aver reso la vita di ogni essere umano più imprevedibile e complessa. Tutto questo porta a considerare il mestiere dell’insegnante come un incarico portatore di stress così come di gioie e di soddi- sfazioni. Ogni volta che l’essere umano percepisce una situazione di imprevedibilità avverte questa situazione come una minaccia, che attiva automaticamente tutti i sistemi di allerta presenti nel si- stema nervoso centrale dell’uomo. Non è una colpa sentirsi sotto minaccia: è uno stato psicofisico determinato da ciò che il nostro sistema nervoso centrale legge in maniera automatica nel conte- sto. Ogni volta che un bambino mette in atto uno dei tanti com- portamenti descritti in questo libro, nel nostro corpo avvertiamo sensazioni di attivazione (battito accelerato, sudore, aumento di temperatura corporea). In questi casi, la prima cosa da fare è non fare. Questo non vuol dire rimanere impassibili e calmi, ma essere consapevoli delle proprie agitazioni e prendersi una pausa di qual- che secondo prima di agire. Qual è il consiglio? Tutte le volte che notate in un bambino uno dei comportamenti descritti in questo libro, per prima cosa centrate la vostra attenzione sul vostro corpo e cercate di fare tre respiri lentamente, poi cercate di ricorda- re cosa avete letto o cosa vi suggerisce la vostra esperienza. Può sembrare un’indicazione banale, ma numerosi studi mostrano

Introduzione

come seguire il respiro possa aiutare a intervenire con una minore attivazione emotiva. D’altra parte è impensabile che il respiro funzioni con certez- za assoluta e in ogni circostanza. Allora veniamo alla domanda di partenza di questo paragrafo: e se non funziona? Quando l’essere umano fallisce in qualcosa ha tre nemici che si palesano nella sua mente. Il primo è il giudizio negativo verso se stessi: «Non sono stato abbastanza bravo». Il secondo è la sensazione di solitudine: «Queste cose capitano solo a me». Il terzo è la sensazione di non riuscire a staccarsi dalle emozioni negative che ci catturano nel momento del fallimento. Questo accade tanto nella mente dell’a- dulto quanto in quella del bambino. Come esseri umani abbiamo una grande risorsa che può fun- zionare da antidoto a questi veleni della mente e questa risorsa è la compassione. Il primo passo per attivarla è riconoscere il fallimen- to e condividerlo con il bambino: «Oggi non ce l’abbiamo fatta. Mi dispiace e penso che dispiaccia anche a te». Il secondo è rivolgere questa compassione verso noi stessi dicendoci nella nostra mente parole gentili: «Ce l’hai messa tutta, capisco che tu ti senta così», provando anche a pensare che probabilmente in quelle stesse ore tanti altri insegnanti hanno sperimentato lo stesso sentimento di disfatta. Numerosi studi nel campo della self-compassion mostra- no come perseverare in questo atteggiamento verso noi stessi porti benessere all’essere umano e alle sue relazioni. Sicuramente può aiutare a giudicarsi in maniera meno negativa nel momento in cui gli interventi che proviamo a mettere in atto per il benessere dei bambini non funzionano come ci aspettiamo.

Ha spesso crisi di rabbia

Cosa tenere a mente

Il bambino che ha spesso crisi di rabbia soffre molto in tutti quei momenti di disregolazione. Se riuscisse a regolarsi lo fareb- be. Sicuramente, quindi, non lo fa apposta. Provare a sintonizzarsi sulla sua sofferenza può aiutare a mantenere l’autocontrollo ne- cessario ad affrontare la situazione in classe. Come farlo? Provate a pensare a un episodio nella vostra vita in cui siete stati sopraffat- ti da un’emozione: non avete sofferto? Non avreste voluto sempli- cemente che qualcuno vi stesse accanto? Un’emozione intensa attiva il corpo: è energia che cerca sfo- go. Promuovete modalità funzionali di espressione della rabbia, che aiutino a scaricare l’energia: correre sul posto, stringere una pallina antistress, accartocciare uno o più fogli, scarabocchiare li- beramente. Se il bambino è troppo «su di giri» dal punto di vista emo- tivo sarà inutile cercare di attivare in lui meccanismi di autore- golazione basati su strategie cognitive e dialogo. Sarà utile, piut- tosto, lasciare che sfoghi in parte questa energia e, quando sarà più calmo, parlarci e capire le motivazioni della crisi e/o fornire strumenti e indicazioni più «cognitive». Cercare di parlare con lui quando l’emozione è al picco sarebbe come cercare di comunicare da terra con qualcuno che si trova su un aeroplano: potremo urlare o sbraitare quanto vogliamo, ma lui non po- trà sentirci.

Ha spesso crisi di rabbia

Può essere utile spiegare agli altri alunni della classe cosa sta

alla base di queste crisi. La domanda «Vi è mai capitato di sentire

un’emozione molto forte?» può essere sia il punto di partenza per

attività strutturate da fare in classe, sia una spiegazione da offrire

alla classe durante una crisi di un bambino.

Prestate attenzione anche alle vostre emozioni e cercate di re-

golarle al meglio che potete. Proseguendo con la metafora dell’ae-

reo, è come quando gli assistenti di volo raccomandano all’adulto

di indossare la maschera dell’ossigeno prima di farla indossare al

bambino, in caso di emergenza: in quel momento è fondamentale

che l’adulto sia cosciente e capace di ragionare lucidamente per

poter garantire l’incolumità del piccolo.

Inoltre, ricordate che le emozioni — per quanto intense o

prolungate — sono temporanee: non possono durare per sem-

pre. Per come funziona la fisiologia delle emozioni umane, le cri-

si di rabbia si attenueranno naturalmente in circa cinque-dieci

minuti.

In un mondo ideale si potrebbe lasciare che il bambino sfoghi

la sua rabbia senza che nessuno intervenga con parole dure o

comportamenti non funzionali, poi guidarlo a prendere consa-